“Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). Gesù invia a continuare la sua missione universale, andando verso tutti, senza escludere nessuno. Lui si fa da parte, per lasciare il posto ai discepoli, a noi. E tuttavia, come aveva promesso, non lasciandoli soli: “Io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20). Che cosa potremmo fare senza di Lui, soprattutto se quello che c’è chiesto non è una qualsiasi attività, ma continuare quello che ha fatto Lui? Oggi, forse, comprendiamo anche cos’è la Chiesa: l’insieme di persone che, ricevuto lo Spirito di Gesù - per tutti noi è avvenuto nel battesimo - diventano il suo Corpo, come ci ha ricordato san Paolo.
Il corpo, sappiamo, è quella dimensione fondamentale di una persona che le consente di entrare in relazione con gli altri, vedere e farsi vedere, muoversi e agire. Ci si accorge dell’importanza del corpo quando si ammala, o, semplicemente, invecchia: con tutta la buona volontà e con tutta la voglia di fare, non si riesce più a compiere quello che si vorrebbe. Oggi Gesù, Vivente nello Spirito, ha ancora bisogno di un corpo: senza di esso non può né farsi vedere né agire.
Ebbene: questo corpo, adesso, siamo noi. Questa la grande responsabilità che abbiamo assunto con il battesimo! Essere cristiani non significa, semplicemente, stare nella Chiesa, frequentarla, seguire quanto ci dice, ma essere la Chiesa, membra di questo singolare Corpo di Cristo, per continuare la sua missione nel mondo. Il che non vuole dire compiere necessariamente grandi imprese di conversione: forse non riusciamo a convertire noi stessi e a volte troviamo resistenze continue alla fede anche nelle persone a noi più vicine, come i figli, i colleghi, o gli amici.
Gesù ci raccomanda semplicemente di essere suoi testimoni: far vedere e sentire la sua presenza viva. Per questo ha affidato alle nostre cure soprattutto i poveri, i sofferenti. Sono queste, infatti, le persone che hanno maggiormente bisogno di sentire la sua presenza, la sua vicinanza. Quando si assiste un infermo, quando ci si prende cura di una persona che è sola e in difficoltà, si dà concretamente testimonianza di Gesù, che proprio con gesti di umanità, facendosi vicino a queste persone sofferenti e prendendosi cura di loro, ha fatto percepire la vicinanza di Dio. Se lo imitiamo in questo modo di essere e di agire, continuiamo la sua missione, come ci ha chiesto, e molte più persone potranno riconoscere e compiacersi della sua presenza, perchè “Cristo non lo si mostra, lo si irradia” (Gilbert Cesbron).
La effettiva vita cristiana, infatti, non consiste nel parlare, ma nell’essere. La pagina evangelica dell’Ascensione si può dire che è più colma di responsabilità che di trionfi, più piena di terra che di cielo. È una missione grande, quella che Gesù ha affidato ai discepoli e a noi: “Andate, ammaestrate, insegnate”. Una missione che impegna! La parola “testimonianza” ci fa pensare a un avvenimento occasionale, che avviene, per lo più in un tribunale, mentre la testimonianza che Gesù chiede non ha il carattere occasionale, legato com’è alla presenza, non occasionale, dello Spirito. Il cristiano, proprio per il suo essere cristiano, è un testimone la cui presenza nella storia può provocare ostilità nei suoi confronti.
Adesso è l’ora della missione, anche per noi. È l’ora nostra! La predica migliore che possiamo fare è presentarci come autentici cristiani, innamorati di Cristo, testimoni umili e appassionati della vita soprannaturale. “A noi non resta che il miracolo della nostra vita, il segno quotidiano della carità nella vita bestiale del mondo” (Nazareno Fabbretti). Gesù, se non si può più vedere con gli occhi, si può e dobbiamo farlo vedere con le nostre buone azioni. Questa presenza viva di Gesù, vivo in noi, certo, ha un termine: “Fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Poi saremo noi a essere con Lui, in un’esistenza senza limiti del tempo, della fatica e del dolore. Egli, dunque, pur rimanendo con noi, ha voluto precederci, e in quel modo essere ancora di più per noi. Si compie, così, mirabilmente il mistero della nostra salvezza. Quella stessa dedizione di Dio all’uomo che aveva portato il Figlio a discendere tra noi, lo spinge ora a risalire, trascinando con sé una moltitudine di figli: l’intera umanità, secondo un desiderio e una speranza di “nuovo” affidata anche alle nostre mani, con il sostegno costante della sua presenza. Facciamo il proposito di essere viventi del Vangelo, con un’esistenza che rispecchia l’insegnamento di Gesù. Così sarà possibile anche per noi incidere sulla tomba l’epigrafe che volle per sé Ferdinando Ebner: “Qui giace il resto mortale di una vita umana nella cui grande oscurità ha brillato la luce della vita e in questa luce ha scoperto che Dio è amore”.