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Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora, quella che si era perduta

Commento al vangelo

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Nel Vangelo di questa XXIV Domenica c'è prima un pastore che chiama i suoi amici e dice loro: "Rallegratevi con me perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta"; poi una donna di casa che va dalle sue amiche e le invita: "rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto". E, infine, un padre che chiama i servi e dice loro: "prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

Sono tre modi per esprimere la stessa cosa: la gioia di Dio quando ritrova i suoi figli che si erano smarriti. Vorrei immaginarla la gioia di Dio che esplode in ogni santa liturgia della domenica. Si! Ogni domenica Dio ci ritrova e fa festa. E possiamo paragonare il Signore come quel padre della parabola che dall'alto della casa (chissà, dal campanile!) guarda verso le nostre strade e appena ci vede arrivare, come fece quel figlio che tornava, scende di corsa verso la porta per venirci incontro e abbracciarci. Ed in effetti la santa liturgia si apre con l'abbraccio di Dio: è il momento del perdono.

Si potrebbe dire che la domenica è tutta qui: è la festa dell'abbraccio di Dio, la festa della grande misericordia. Una misericordia che è raro trovare nel mondo, ove invece tanto spesso si incontra l'assenza del perdono e, ancor più, dell'amore.

È normale tra di noi l'affermazione di se stessi, l’invidia, la gelosia, la critica facile, la rivendicazione dei propri diritti e l'insensibilità al perdono.

I due figli della parabola sono ambedue gretti ed egoisti. Verrebbe da dire: "povero padre con quei due figli!". Avevano tutto: il padre ricco ed una casa grande; servi che li accudivano e possedimenti di cui godere. Avevano tutto…ma in comune. Preferirono la loro grettezza. "Padre, (disse il figlio più giovane), dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Davvero sciocco! Preferisce una parte al tutto. In quel giovane, come spesso in ognuno di noi, c'era il fastidio per ciò che è comune; il fastidio di non essere padroni assoluti di se stessi e delle proprie cose. "Dammi la parte di patrimonio che mi spetta!". Ugualmente egoista fu il fratello maggiore. Non appena i servi gli riferirono il motivo della festa, si adirò contro il padre e non volle entrare. Rifiuta la festa e la misericordia; preferisce un capretto per lui e qualche amico, al vitello grasso e alla tavola imbandita con il fratello e tutti gli altri. Questi due figli non sono lontani da noi; convivono nel cuore di ciascuno di noi, accomunati dalla stessa voglia di avere tutto per sé. Esattamente il contrario di quello che desidera il Padre. Ma la voglia di possedere, di avere solo per sé, come il Vangelo ci mostra, conduce alla tristezza, e spesso anche alla rovina. Quel che però alla fine conta è la capacità di rientrare in se stessi, di accorgersi della tristezza della propria condizione, di rialzarsi e ritornare alla casa del padre.

Carissimi, questo significa “Convertirsi!”. Non “cambiare la nostra mentalità per cambiare la condotta”. Convertirsi, a mio parere, non significa “migliorare il nostro comportamento”, “diventare più buoni”.

Conversione non è uno sterile sforzo psicologico che non sappiamo esattamente cosa significhi e dove porti.

Convertirci vuol dire “cambiare mentalità su Dio”, cambiare il nostro modo di vedere Dio, di comprenderlo, e quindi di presentarlo agli altri. Solo così, conoscendo e amando Dio in modo totalmente nuovo, potremo applicare un totale cambiamento anche in noi stessi. E così quando sbagliamo non troveremo un “Padre” che ci giudica, ma un Padre che viene incontro per abbracciarci e amarci. Amen!

 

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