Un gruppetto di discepoli è ritornato nei luoghi, dove avevano sempre vissuto e dove la loro avventura aveva avuto inizio: le contrade della Galilea intorno a quel lago che Giovanni non evita dal denominare col suo nome pagano, il mare di Tiberiade. Erano pescatori, avevano accolto con entusiasmo l’invito di Gesù a seguirlo, gli erano stati vicini fino alla fine, almeno fin quasi alla fine. Poi tutto era precipitato e le speranze già affievolite si erano definitivamente infrante: il Maestro era stato tradito, arrestato, processato, condannato, crocefisso.
Quando ormai sembrava tutto un brutto sogno da dimenticare, all’improvviso, l’annuncio di Maria di Magdala aveva sconvolto tutti e alla vista della tomba vuota avevano visto e creduto (cfr Gv 20,8). La sera stessa il Signore era apparso loro, rinchiusi e intimoriti, lo avevano visto con i loro occhi e i loro cuori erano pieni di gioia nel vederlo (cfr Gv 20,20). Adesso qualche tempo è passato, forse la gioia pasquale ha iniziato ad affievolirsi, ci si è chiesti cosa si stava facendo a Gerusalemme, meglio ritornare a casa, là dove tutto era incominciato.
E là riprendono il vecchio lavoro, le vecchie abitudini. Là la nostalgia colora il ricordo, mentre la gioia provata quella sera nel cenacolo, dove Lui a porte chiuse si era manifestato e avevano potuto vederlo e stringerglisi attorno, a poco a poco si affievolisce. “Allora uscirono e salirono sulla barca ma quella notte non presero nulla” (Gv 21,3).
Poche parole a dire icasticamente cosa è una vita senza la presenza viva di Gesù. E quando Gesù appare ritto sulla riva del lago, essi non sono più in grado di riconoscerlo, è uno sconosciuto che chiede qualcosa da mangiare. «“Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci» (Gv 21,6). Il miracolo fa riconoscere il Signore ai discepoli demoralizzati e ripiegati su se stessi. Al riconoscimento fa seguito la festa con Lui. Anzi è proprio Gesù a fare i preparativi: prepara la brace per il pesce arrostito, il pane. Uomini un po’ stanchi nella loro fede, forse delusi nelle loro attese, provano a ricominciare tutto da capo e si accorgono che Gesù è sempre con loro, che la sua risurrezione non l’ha sottratto dal contatto vitale con le loro esistenze, che con Lui l’impossibile continua a essere possibile e i miracoli avvengono. Dove c’é Lui c’è festa, la gioia pasquale trasforma la malinconia nella calda intimità con il Figlio di Dio.
Per due volte Gesù domanda a Pietro: “Mi ami tu?” (Gv 21,15-16), richiedendo quell’amore (agape) che è il Suo. La novità evangelica di un amore che non chiede contraccambio e si china sul bisogno dell’altro con una tenerezza incondizionata. Per due volte Pietro risponde ribadendo “ti voglio bene”, indicando un amore di amicizia, un affetto che deriva dalla consuetudine, dalla reciprocità. Pietro offre di meno di quello che Gesù gli chiede. Sorprendentemente, alla terza domanda, Gesù non provoca Pietro a fare un salto di qualità nella sua offerta di amore, ma abbassa invece la portata della sua richiesta. Domanda così, infine: “Mi vuoi bene?” (Gv 21,17), accontendandosi dell’amore che Pietro gli può offrire, dimostrando in questo modo la vera qualità del Suo amore, che non chiede reciprocità. Straordinaria consolazione offerta a tutti noi: il Signore, certo è esigente e chiede dedizione completa, addirittura fino alla morte, ma al tempo stesso sa chi siamo e si accontenta del nostro povero e incerto amore.