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Gesù, la luce che rischiara il nostro cammino

Commento al vangelo

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L’invito ad ascoltare Gesù, la voce dal cielo, si fa sentire dopo che (Gesù) ha conversato con Mosè ed Elia. In questa conversazione con le Scritture del suo popolo, Gesù prende coscienza del Suo esodo, della Sua Pasqua. Vedere e ascoltare sono i verbi fondamentali di questo brano. La precedenza della visione sull’ascolto ci dice che l’ascolto è possibile solo dopo un incontro. Solo se abbiamo in qualche modo gustato la presenza di Dio, possiamo ascoltare la sua voce.

Anche nel rapporto con le persone: non possiamo ascoltare prima di averle incontrate. La visione del loro volto è essenziale per l’apertura (o la chiusura) all’ascolto. L'Eucaristia domenicale è come un Tabor settimanale, che ci permette di cogliere un bagliore diverso nel ritmo del nostro vivere. Nella Divina Liturgia Gesù diventa ancora una volta la luce che rischiara il nostro cammino, donandoci la Sua Parola e la Sua Carne.

E così anche la nostra vita diventa diversa, perché trasfigurata dalla gloria del Signore risorto. Anche noi probabilmente saremmo tentati come Pietro di arrestare qui la nostra sequela costruendo tre tende, ma di fatto l’esperienza del Tabor non costituisce la meta finale del cammino. Pietro vorrebbe in qualche modo bloccare l’esperienza di Dio in ciò che può personalmente dominare, edificare con le proprie mani, tenere sotto il controllo dei propri occhi.

È rinviato, invece, alla parole del Padre, all’affidamento dell’ascolto e alla perseveranza nella sequela: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Lc 9,35). L’imperativo dell’ascolto è l’imperativo della sequela: si devono ascoltare le parole di Gesù per seguirLo lungo la strada che conduce a Gerusalemme, dove vivrà l’esodo pasquale del quale conversa con Mosè ed Elia, cioè con la Legge e i Profeti, con tutte le Scritture.

La gloria di Gesù la si contempla non tentando di circoscriverla nelle tre capanne costruite da mani di uomo, ma seguendoLo fino a Gerusalemme, fino ai piedi della croce. Solo lì si manifesterà pienamente la gloria del Figlio di Dio di cui la Trasfigurazione rimane un’anticipazione profetica. La scena della Trasfigurazione, perciò, rivela in anticipo la gloria e la luce in cui Gesù ha potuto vivere fino in fondo, nella fedeltà e nella perseveranza, nell’ascolto della Parola e nell’obbedienza al Padre, il Suo cammino di esodo pasquale.

La trasfigurazione rivela non semplicemente la gloria e la luce che Lo attendevano al termine del cammino, ma la gloria nella cui luce ha potuto Egli stesso camminare verso la Pasqua. Nel racconto della Trasfigurazione risalta l’invito pressante di Dio ad ascoltare il Figlio. Nonostante quest’invito e nonostante la manifestazione di gloria alla quale hanno assistito, i discepoli non saranno capaci di restarGli vicino nell’ora della passione.

Proprio la fragilità umana dei discepoli deve insegnarci quanto sia necessario accogliere continuamente l’invito ad ascoltare Dio che ci parla e, nella storia della salvezza, ci dà segni della sua presenza. Se dopo aver ascoltato, come Pietro, riusciremo a dire anche noi: “È bello per noi essere qui” (Lc 9,33) ci renderemo conto che Gesù evangelizza attraverso la sua bellezza e il suo splendore. Sì, Gesù trasfigurato brilla, affascina, ti fa venire voglia di Dio, voglia di stare con Lui, di entrare nel Suo cuore, di vivere come figlio e fratello. La gloria di Gesù sul monte è solo una prefigurazione della Sua risurrezione.

Durante la preghiera, cioè nel Suo intimo rapporto col Padre, Egli viene investito dallo splendore di Dio al punto tale da venire assorbito completamente. Ora Gesù viene colto nella Sua gloria che Pietro vuole fermare. Quella luce che inonda il Cristo trasfigurato è e sarà la nostra parte di eredità e di splendore. Siamo chiamati, infatti, a condividere tanta gloria perché siamo “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4).
 

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