Posto lungo la strada più antica del mondo, la via della transumanza, in realtà il sito di Cupello era già frequentato in epoca preromana, in un tempo dove, lungo i millenari tratturi e diffusamente in tutta la campagna circostante, il carciofo cresceva, spontaneo o coltivato nell’orto.
È difficile raccontare la storia del carciofo senza raccontare la storia di Cupello. E viceversa. È una storia fatta di orgogliose battaglie, come quella per l’affrancamento da Monteodorisio, capoluogo della famosa contea che abbracciava dodici paesi, dalla quale Cupello si distaccò nel 1811 dopo due secoli di lotte civili e legali. O come quella per il metano negli anni sessanta.
Battaglie certo ma anche tenaci ricostruzioni: la prima dopo il terrificante terremoto del 1456, che coincise con l’arrivo degli Schiavoni; l’ultima dopo i bombardamenti del 1943, che causarono un’impressionante numero di vittime nella popolazione civile. Testimone di grandi ricostruzioni, il carciofo aspettava la sua stagione.
Dapprima destinato all’autoconsumo e solo in minima parte alla vendita, il carciofo costeggia tutta la storia di Cupello, come riporta Lorenzo Giustiniani nel suo “Dizionario Geografico Ragionato nel Regno di Napoli”, dove nel 1797 descrisse gli abitanti di Cupello, o villa Cupello, come tutti addetti all’agricoltura, e le cui produzioni consistono o in grano, orzo, legumi”. Il carciofo, infatti, seppure coltivato diffusamente, era destinato al consumo familiare. Eppure la pianta del carciofo era conosciuta in tutta la regione fin dal XVIII secolo. Sempre più abbondantemente coltivato, il carciofo cominciò a diventare, dopo l’orto e la tavola, anche il protagonista del mercato: in quello di Lanciano, ad esempio, era possibile trovarlo facilmente sui banchi ortofrutticoli. In una nota del Monastero di Santa Chiara, risalente al 20 maggio del 1757, è infatti riportato l’acquisto di alcuni carciofi.
Dal catasto agrario del 1929, inoltre, è possibile desumere l’esistenza di numerose carciofaie attive dal 1923 al 1928. Laura Fiorentino Fabrizio in “Gente ‘bbuna e bona gente”, racconta che quando la terra si lavorava a mano, con zappa e bidente, nei campi e nei vigneti prosperavano alberi da frutta.
Gli alberi da fico si potevano contare a migliaia, e la produzione delle pere, quelle chiamate “le spadone”arrivò a una quantità eccessive nel primo quarto di secolo (…).
L’agricoltura era fiorente. Le vigne davano uva in abbondanza. Si era alle prime esportazioni. Tuttavia molte fonti come “L’Annuario Abruzzese” del 1949, pur dimostrando l’ampia diffusione della cultura nella zona, non annoverano il carciofo tra le voci dell’esportazione cupellese, che constava di cereali, olio, miele e vino.
È solo a partire dagli anni ’50 che il Mazzaferrata, questa particolare e pregiata varietà conosciuta come carciofo di Cupello, viene coltivato con sempre maggiore attenzione. E molti altri anni sarebbero ancora passati prima che l’importante marchio collettivo comunitario, ne attestasse l’eccellenza e con essa la storia.
(Documento reperito presso il comune di Cupello)
Foto presa dal sito il Carciofo di Cupello