Partecipa a IlTrigno.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

L’attuale arenile di Vasto ha una data precisa di formazione: 1° aprile 1816

determinata da una inaudita pressione franosa

Condividi su:

PER UNA STORIA DEI LUOGHI: LA SPIAGGIA DI VASTO, IL PORTO DI HISTONIUM, GLI INSEDIAMENTI ANTICHI LUNGO LA COSTA DEI TRABOCCHI
di Luigi Murolo
C’è un passo della Storia di Vasto in cui, non da storico, ma da testimone oculare di quasi un trentennio prima, Luigi Marchesani racconta qualcosa che nel 1816 (in concomitanza con la disastrosa frana del 1° aprile) aveva sconvolto l’orografia del versante orientale della città e lo stesso paesaggio marino. Le parole sono eloquenti: Sereno il giorno vegnente si annunziava dalle scintillanti stelle; e tale surse il primo di Aprile, ma per rischiarare un
teatro di ruine. […] Sono le ore venti e trenta: una nuova spiaggia larga 200 e 300 palmi occupa il luogo delle rinculate acque dal magazzino […] quasi sino al Trave (pp. 287-288). […] La nuova spiaggia erasi di vantaggio approssimata al Trave, e più elevata sulle respinte acque. (p. 289)


Che cosa significa tutto questo? Presto detto. Che alle ore 20,30 (corrispondenti alle attuali ore 12, 30) del giorno 1° aprile ci si trova di fronte a una spiaggia mai vista prima compresa in un’ampiezza tra i 200 e i 300 palmi (1 palmo=cm. 26,45) – vale a dire tra i m. 52 e 78 – a partire dal Fosso del
Ponte Marino (magazzino del sale) fin quasi alla località Trave. Una notizia che ha dell’incredibile e su cui. fino ad oggi, mai nessuno ha posto la necessaria attenzione. Nel senso che l’attuale arenile di Vasto – secondo questa testimonianza fidedigna – ha una data precisa di formazione (1° aprile
1816) determinata da una inaudita pressione franosa generata a monte (grosso modo nell’area racchiusa tra l’attuale piazza Marconi e contrada Lota) e scaricata sul fondo marino.

Quasi non bastasse, due giorni dopo – il 3 aprile – l’arenile subisce una nuova mutazione. Marchesani precisa così dati modificati: «la nuova spiaggia […] è ormai lunga poco meno di un miglio, larga da 400 a 500 palmi […]» – vale a dire, da m. 104 a 130 – (p. 289). Così, sempre secondo il racconto
dell’importante testimone: «[…] gli abitanti […] corrono in folla all’oriental margine del Piano del Castello (attuale piazza Marconi); di là contemplano con raccapriccio il formidabile quadro».
Certo, l’orrore, lo spavento cagionati dall’improvvisa comparsa sulla scena marina di una costa bassa costituita da “rena” (larga tra i m. 104 e 130) sono massimi. La misurazione dell’ampiezza è effettuata a partire dall’originaria barriera rocciosa ancora visibile posta al di sotto della scarpata
sulla cui sommità è oggi attiva la pista ciclabile (figg. 1-2). Si osserva perfino la neoformazione di «due laghetti» con diametro di 180 palmi (m. 47). Di fronte a tanto catastrofico spettacolo viene perfino invocata la protezione dell’arcangelo Michele. Ma non è solo questo l’aspetto che interessa la costiera di Vasto.

L’estremo punto Nord dell’evento franoso ha per oggetto – come già osservato – la stessa località Trave in cui – scrive Marchesani – viene a collocarsi quel «bislungo masso immerso nelle acque, denominato Trave, […] muro antichissimo, che per le incrostazioni sembra scoglio» (p. 221). Cosa, peraltro, già notata dal memorialista seicentesco Nicola Alfonso Viti che illustra con queste parole: «Entro il mare si vede una fabbrica lunga chiamata il Trave, che cosa si fosse non può giudicarsi, e benché rassembra scoglio, non dimeno si scorge essere muraglie […]». Ciò implica che il grande scoscendimento del 1816 solleva un piccolo tratto di spiaggia (ricoperto dal contrafforte in, puddinga realizzato dalla ferrovia nel 1863), compreso il fondo dei resti archeologici. L’affioramento in superficie degli stessi, dovuto a una frana dalle proporzioni smisurate ha restituito un universo mai considerato. Che, in tempi recentissimi e per ragioni singolari, ha perfino consentito il rinvenimento del frammento di un fusto di colonna romana di ordine corinzio (figg. 3-4) avvenuto in superficie il 17 giugno 2019. 

Da questo punto di vista le considerazioni sono importanti da trarre. Parlo della necessità di realizzare un parco archeologico marino debitamente protetto di ciò che possiamo definire il porto del municipium histoniensium che, in ragione dei paramenti murari in opus reticulatum, va
ricondotto grosso modo al sec. II (figg. 5-6). Un’ipotesi archeologica nuova – in prospezione avviata da Marco Rapino nel 2014 (di cui si pubblicano due foto) – che apre importanti questioni ermeneutiche rispetto alla rapida notazione letteraria di Plinio allorché, nella Naturalis historia (III, 106), parla del solo «flumen Trinium portuosum» in tutta la costa frentana dal Biferno a Aterno. Questioni che rinviano alla presenza di fondali marini profondi modificati dalla frana del 1816 che ne ha prodotto un sollevamento finora ignorato dalla ricerca storica. Di quella ricerca à part entière che ha nella geostoria la sua applicazione più coerente. Cosa talmente vera che la stessa linguistica ne diventa elemento paradigmatico. Si consideri, ad esempio, la sopravvivenza del toponimo Scaramurza che designa oggi la parte meridionale di località Trave. Esso preserva in sé la voce húrz con il valore semantico di «orto sacro» attestato nella sannitica Tavola di Agnone (bronzo di III sec. a. C.) conservata nel British Museum di Londra e di s[a]kar- connesso con l’azione verbale del «sacrificare» presente nel citato monumento italico (una copia conforme scala 1:1 sempre in bronzo
è custodita nel Museo Archeologico di Monteodorisio [fig. 7]). Ciò vuol dire che, in epoca italica, a Scaramurza sussisteva un’area sacra su cui, in periodo romano, sarebbe stata realizzato un sito portuale.

En passant, un’ultima considerazione. La ricerca archeologica sta cominciando a restituire una diversa immagine storica delle spiagge lungo la cosiddetta “Costa dei Trabocchi”. Valgano due esempi. Da un lato, l’incredibile impianto termale romano di Casalbordino (facente parte dell’antica
statio di Pallanum, come risulta dalla Tabula Peutingeriana) rinvenuto nel 2008 sul limite nord del Lungomare; dall’altro, i resti di un’antica struttura in loc. Murata Bassa di S, Vito Chietino, sottostanti la pista ciclabile, iniziati a scavare nel 1991 comprensivi di una fornace di I-II d.C. e di una vasca per piscicoltura tardoantica (V sec.?). Dati evidenti che riscrivono la storia costiera del Basso Abruzzo. E pare poco?


A questo punto, una riflessione. Una modestissima riflessione. Quando si pensano i vari piani di difesa costiera si tiene conto del valore archeologica di questo ampio segmento marittimo? Che cosa si fa per tutelarlo? Ad esempio, che cosa dice il Piano di Difesa della Costa dall’erosione, dagli
effetti dei cambiamenti climatici e dagli inquinamenti della Regione Abruzzo (ultimo aggiornamento 22 luglio 2021) sulla tutela dei resti del Porto di Histonium? Se ne parla, oppure resta il visibile sconosciuto della mano destra che non sa che cosa accade nella sinistra (e viceversa)? Ed è stato studiato lo scoscendimento franoso di Vasto del 1816 che ha letteralmente modificato l’ambiente originario? Ho posto una semplice domanda. Sarebbe bello ottenere una risposta.

Didascalie
1-2: Vasto: La barriera di scogli (oggi spiaggiata) anteriore alla frana del 1816
3-4: Vasto: loc. Scaramurza: Rinvenimento del frammento di colonna, porto di Histonium (17
giugno 2019)
5: Vasto: loc. Trave, Porto di Histonium, resti di opus reticulatum. (foto Marco Rapino, 2014)
6: Vasto: loc. Trave, Porto di Histonium, resti di basi di colonna. (foto Marco Rapino, 2014)
7: Lato A, Tavola di Agnone (copia conforme in bronzo scala 1:1), Monteodorisio, Museo
Archeologico. Originale presso Brithis Museum, Londra.
8-9: Casalbordino, loc. Finis terrae: resti archeologici di impianto termale
10-11: S. Vito Chietino, loc. Murata Bassa: Resti archeologici

Condividi su:

Seguici su Facebook