Canada, il caso delle 761 tombe
Settecentosessantuno tombe anonime sono state ritrovate vicino a un’ex scuola cattolica per indigeni a Saskatchewan, nell’ovest del Canada. L’ha rivelato Cadmus Delorme, capo della comunità indigena canadese Cowessess. I resti sono perlopiù di bambini. «L’ex scuola rimase attiva per 98 anni, fino al 1997. Gli scavi erano cominciati a maggio, subito dopo la scoperta dei resti di 215 bambini vicino a quella che un tempo era la Kamloops Indian Residential School, uno degli istituti del sistema delle cosiddette “Indian residential schools”, una rete di scuole fondate dal governo e amministrate dalle Chiese cattoliche che rimuovevano con la forza i figli degli indigeni dalle loro comunità per assimilarli nella cultura “bianca” dominante» [CdS].
Sempre più brutte…
Song Ta, 33 anni, di Canton, dieci anni fa ha fotografato e filmato in segreto cinquemila studentesse in un campus universitario. Poi ha catalogato le ragazze in base al suo gradimento estetico, «dalla più bella alla più brutta» e ha montato il tutto in un video di oltre sette. Il video – titolo inglese Uglier and Uglier («Sempre più brutte»), titolo cinese Jiaohua («Fiori di campus») - era stato esposto per la prima volta nel 2013 al prestigioso Ucca, il museo d’arte contemporanea di Pechino. Song Ta, intervistato, invitava il pubblico a prendere visione del suo progetto artistico arrivando presto, all’inizio delle sette ore e passa di filmato, perché «è lì che ci sono quelle belle, poi vengono le meno carine, poi le brutte e in fondo le imperdonabilmente brutte, inguardabili. Così, se volete ammirare la reginetta dell’università dovete affrettarvi, in fondo c’è l’orrore, donne che possono turbare la gente impressionabile». Il collage è riemerso ora, accolto dal museo privato di arte contemporanea Ocat di Shanghai. Ma questa volta ha fatto scandalo. Sui social network mandarini Song e il museo sono stati accusati di misoginia, guardonismo, oggettivizzazione del corpo femminile. L’hashtag #SongTaFioridicampus è stato visto 100 milioni di volte e ha creato un’onda di sdegno che ha spinto a intervenire anche la stampa statale e la galleria d’arte di Shanghai è stata costretta a scusarsi, ha ritirato l’installazione e chiuso i battenti per «riorganizzazione interna» [CdS]
Virologi che parlano…
Professore, vi danno delle Cassandre, profeti di sventura, irriducibili catastrofisti.
«Guardi, se sono termini dispregiativi, fanno torto a chi li usa. La prudenza è normale per ogni medico».
Ad aprile disse: a fine maggio ci sarà una nuova ondata. Non si è vista.
«Non dissi così. Dicevo solo che era intempestivo aprire allora».
I numeri dei decessi sono calati drasticamente ma per lei «non c’è niente da festeggiare».
«Beh sì, non andrei orgoglioso di questi numeri. Dal 26 maggio a oggi ci sono state 7 mila vittime. Se mi avessero ascoltato ce ne sarebbe state molte meno».
Ma non ne stiamo uscendo comunque?
«No, restiamo un Paese molto vulnerabile. In Germania i contagi aumentano, perché si fanno tamponi e tracciamento. Qui o se ne fanno pochi o troppi antigenici e pochi molecolari. Non ne ho idea».
Come non ne ha idea? Comunque su AstraZeneca gira un suo vecchio tweet: «Consiglierei AstraZeneca senza dubbio anche alle donne giovani».
«Mai scritta questa cosa».
Veramente la disse a SkyTg24: «Senza dubbio».
«Sono sempre stato coerente su tutto».
Può capitare di sbagliare.
«No».
Avrà cambiato idea qualche volta.
«No, non sono una banderuola».
Ma spesso si è contraddetto, come molti suoi colleghi. Anche il professor Galli ha ammesso di non avere indovinato le ultime previsioni. Lei non sbaglia mai? Non fa errori?
«Quali errori? Me ne dica uno».
A lei non viene in mente proprio niente?
«No. Anzi, se mi avessero dato retta a febbraio, Lombardia e Veneto non avrebbero fatto quella fine» [Andrea Crisanti, 66 anni, ad AT,CdS].
HRH
In Inghilterra «ricevere il titolo di HRH (High royal highness, Sua Altezza Reale) non è solo una questione di semantica. Con esso, infatti, i principi possono usufruire dei fondi pubblici attraverso il Sovereign Grant e possono godere della protezione della polizia, anch’essa finanziata dalle tasse» [Bruschi, Mess].
Secondo la Letters patent, un documento voluto da Giorgio V il 20 novembre 1917, oggi ne avrebbero diritto solo i figli della sovrana (Carlo, Andrea, Anna ed Edoardo), i figli di questi ultimi e il primo figlio (George) del figlio maggiore (William) del principe di Galles (l’erede Carlo), ma la regina Elisabetta ha voluto concederlo anche agli ultimi due figli di William: Charlotte e Louis di Cambridge.
Sconosciuti al ..fisco
Il bilancio operativo della Guardia di Finanza per l’anno 2020. Soggetti completamente sconosciuti al fisco scoperti: 3.456. Truffatori che percepivano abusivamente il reddito di cittadinanza smascherati: 5.868.
«Tra gli evasori totali una grossa fetta riguarda imprenditori o lavoratori autonomi operanti attraverso piattaforme di commercio elettronico. Quanto ai furbetti del reddito, tra gli individui scoperti ci sono intestatari di ville e auto di lusso e addirittura mafiosi con condanne definitive alle spalle: gli interventi, col contributo dell’Inps, hanno permesso di intercettare ben 63 milioni di euro» [Leggo].
Tante piccole cose
Abbiamo anche appreso che
- secondo un rapporto del ministero della Sanità fino al 70 % degli anziani ricoverati nelle case di riposo soffrono di disidratazione e malnutrizione;
- secondo Repubblica «alcuni lidi» stanno organizzando postazioni collegate a internet per chi vuole fare smart working in spiaggia;
-Anita Iacovelli, la studentessa torinese che animava le proteste anti-dad, ha finito l’anno con tutti 9 e 10 e un solo 8;
- a Castel Volturno ci sono 27 mila abitanti e 20 mila clandestini;
- tra l’isola d’Elba e la Corsica si sta formando un’isola di plastica,
-Federico Chiesa ha studiato alla scuola americana di Firenze e parla benissimo l’inglese;
- lo storico Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo è stato acquistato da Attestor Capital, un gigantesco fondo di investimenti internazionale britannico;
-Emmanuel Carrère ha scoperto la meditazione Vipassana nel 2011 quando era in India per scrivere Limonov
- Andavo a cento all’ora di Gianni Morandi era stata arrangiata da Ennio Morricone;
a Yulin, in Cina, festeggiano il solstizio d’estate catturando cani, chiudendoli in gabbia, squartandoli, e buttandoli in pentola;
-Sigmund Freud inviò a Mussolini un suo libro con una dedica in cui lo definiva «protettore della civiltà»;
-secondo un sondaggio dell’agenzia Kyodo News il 72% dei giapponesi vorrebbe cancellare le Olimpiadi;
- Federico Bernardeschi ha seguito una strana «tecnica di crescita personale» californiana che si chiama «percorso Hoffman»;
- secondo una teoria del complotto i tamponi per rilevare il coronavirus servono a inserire dei microchip nel naso della gente;
-Orhan Pamuk ha conservato ogni singolo foglio i carta su cui ha scritto negli ultimi 45 anni; -Suor Paola D’Auria, super tifosa laziale, per 12 anni ospite di Quelli che il calcio, è stata nominata Ufficiale al Merito della Repubblica da Mattarella;
- il musicista Davide Locatelli, 28 anni, ciuffo ossigenato e 50 tatuaggi, ha rivisto Bach e Beethoven suonandoli su basi trap; -secondo Luciano Carta, presidente di Leonardo, c’è il rischio di «una Pearl Harbor cyber»;
-tale Salvatore Fiorello, 36 anni, catanese, animatore in un villaggio turistico, sostiene di essere il figlio segreto di Barbara D’Urso, è arrivato a essere ossessivo e lei ha dovuto assumere una guardia del corpo.
Chip e mercato dell’auto
di Eugenio Cau
Il Foglio
Se chiedete all’amministratore delegato di una grande casa automobilistica quali sono le sue principali preoccupazioni per il 2021, e forse anche per un bel pezzo di 2022, è certo che parte della risposta conterrà la parola “microchip”. Siamo abituati ad associare questi piccoli componenti elettronici ai computer, agli smartphone e agli altri aggeggi digitali, ma ci si dimentica spesso che ormai le automobili sono eleganti computer su quattro ruote: i microchip sono fondamentali, e lo stanno diventando sempre di più. Servono a fare praticamente di tutto, da operazioni semplici come i comandi per alzare e abbassare i finestrini elettrici a quelle più complesse come la gestione dei computer di bordo, dei sistemi di guida assistita, dei vari dispositivi di sicurezza. E’ stato calcolato che in media i componenti elettronici costituiscono ormai il 40 per cento circa del valore di un’automobile – e i microchip ne sono la parte più importante: senza di loro, l’elettronica non funziona, e più le automobili diventano sofisticate, più la centralità dei chip aumenta. Ecco, il problema che probabilmente inquieta gli amministratori delegati del settore è che di microchip non ce n’è abbastanza. Dall’inizio dell’anno si è verificata in tutto il mondo una grave crisi produttiva nell’industria dei microchip, che ha colpito tutti i settori, ma ha riguardato in particolar modo l’industria dell’auto, provocando tagli alle stime di produzione, perdite in borsa, aggiustamenti dei bilanci e perfino qualche problema per i consumatori. Cominciamo cercando di capire perché i microchip mancano, e poi arriviamo all’industria dell’auto, e a perché è stata più penalizzata di altre.
Possiamo elencare tre ragioni principali per cui dall’inizio dell’anno i microchip scarseggiano in tutto il mondo: la pandemia da coronavirus, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e la sfortuna. Il fatto che dalla primavera dell’anno scorso buona parte della popolazione mondiale sia stata costretta a causa della pandemia a vivere e lavorare dentro casa ha portato a un enorme aumento delle vendite di apparecchi elettronici. Computer, tablet, smartphone, televisori, console: il mondo aveva bisogno di apparecchi elettronici pieni di microchip per lavorare e svagarsi a casa, e la domanda è aumentata sensibilmente. Quando poi, grazie alla buona riuscita della campagna vaccinale, le economie mondiali hanno cominciato a riaprire e riavviato la produzione, la domanda di microchip ha praticamente subìto un’impennata.
Anche la guerra commerciale con la Cina cominciata dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha avuto effetti negativi, perché ha tagliato fuori dalle catene di approvvigionamento diverse aziende cinesi produttrici di microchip e ha reso più complicato il commercio e lo scambio di materie prime e tecnologie. Questi fattori eccezionali (enorme aumento della domanda in un contesto di pandemia globale e di guerra commerciale) hanno messo una grandissima pressione sull’industria che produce i microchip, e questo ha creato un grosso problema, perché si tratta di un’industria per niente flessibile, che ha poche risorse di rispondere in maniera rapida alle sollecitazioni del mercato. Per produrre microchip, infatti, sono necessari investimenti giganteschi, infrastrutture di alto livello e know-how, tutte cose che richiedono anni per essere messe in pratica. E benché esistano numerose aziende in tutto il mondo che producono microchip, la stragrande maggioranza della fabbricazione globale è in mano soltanto a tre società: l’americana Intel, la sudcoreana Samsung e il leader incontrastato del mercato, la taiwanese TSMC. Si tratta di enormi multinazionali che investono ogni anno miliardi in infrastrutture e ricerca, ma appunto: la produzione di microchip si muove lentamente, e davanti all’esplosione della domanda le aziende non sono riuscite a tenere il passo.
Ci si è messa anche la sfortuna, dicevamo. In particolare TSMC ne ha avuta parecchia, perché soltanto dall’inizio dell’anno i suoi stabilimenti sono stati colpiti da: due focolai di coronavirus, un’inondazione e poi un periodo di siccità così grave da mettere a rischio le riserve d’acqua, fondamentali per la produzione. Tutti questi eventi hanno bloccato o in alcuni casi perfino rallentato la produzione di microchip.
Ora, in questa situazione poco piacevole, le case automobilistiche sono state quelle che ne hanno risentito di più. Non sono state certamente le uniche – avete provato negli scorsi mesi a comprare una PlayStation 5? – ma la produzione dell’auto ha alcune caratteristiche che la rendono più vulnerabile. Anzitutto, ha poco potere contrattuale sul mercato dei chip, perché gran parte dei suoi ordini riguardano quelli meno potenti e costosi: si stima che il settore dell’auto utilizzi soltanto il 10 per cento della produzione globale di microchip, e per questo i produttori tendono a dare la precedenza a ordini più grossi e ricchi. Infine, è stato fortemente penalizzante anche il fatto che la gran parte delle case automobilistiche abbia scarsissimo inventario perché utilizza una catena dell’approvvigionamento “just in time”: durante il lockdown, le industrie attive in altri settori hanno fatto scorta di microchip, e quando le fabbriche automobilistiche hanno finalmente riaperto si sono accorte troppo tardi che chip erano in gran parte finiti, o scarseggiavano.
La scarsità di microchip ha provocato a partire dall’inizio dell’anno diversi problemi nel settore, anzitutto negli Stati Uniti, dove Ford, GM e altre grandi case hanno annunciato la chiusura temporanea o la riduzione degli orari in diverse fabbriche, ma anche in Europa. Per fare due esempi molto noti: Volkswagen a marzo aveva prodotto 100 mila automobili in meno rispetto a quanto previsto, mentre Stellantis nel primo trimestre dell’anno ha avuto una perdita produttiva di 190 mila unità, tutto a causa della carenza di microchip. A rendere particolarmente odiosa la situazione c’è il fatto che la domanda non mancherebbe: i consumatori sono ansiosi di comprare auto nuove, ma le case automobilistiche faticano a trovare i componenti per costruirle. Questo ha portato a un allungamento dei tempi di consegna, e in alcuni casi anche a un ritocco al rialzo dei prezzi delle auto. Ci sono stati anche diversi effetti collaterali: per esempio, poiché scarseggiano le auto nuove, i consumatori hanno cercato altrove, e il mercato delle auto usate ha subìto un’impennata mai vista.
La buona notizia è che, secondo molti esperti, benché il fenomeno della carenza di microchip probabilmente durerà ancora un paio d’anni, a causa del tempo necessario per adeguare la capacità produttiva, le sue conseguenze peggiori si potrebbero attenuare già nella seconda metà del 2021, e il mercato potrebbe infine tornare stabile – dopo pandemie, alluvioni, guerre commerciali e siccità.