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CENTENARIO DEL PCI (1)

L' editoriale (critico) di Filippo Sammartino

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Ricorre oggi il centenario dalla fondazione del Partito Comunista Italiano, risalente al 21 gennaio 1921 a Livorno. Una pagina di storia politica del nostro Paese che fa ancora oggi molto discutere ed è oggetto di tanti dibattiti. 

Dal mio punto di vista, cioè quello di un giovane italiano ed europeo, la storia del PCI va ricordata come ogni altro avvenimento della politica novecentesca, ma nello stesso tempo condannata per numerosi motivi. La stessa Unione Europea, con una risoluzione dell’Europarlamento del 17 settembre 2019, ha messo sullo stesso piano tutti i regimi e le ideologie totalitaristiche del secolo scorso e ha equiparato la follia nazista a quella comunista e stalinista.

È importante innanzitutto affermare che il Partito Comunista Italiano è nato qualche anno dopo la Rivoluzione d’ottobre, ispirandosi al movimento rivoluzionario guidato dal sovietico Lenin. Inoltre, il PCI si è sciolto nello stesso anno in cui è terminata la storia della famigerata Unione Sovietica. Ebbene, in 70 anni di storia, mai il PCI ha preso le distanze da tante dittature comuniste sviluppatesi in tutto il mondo e che hanno provocato la morte di milioni di persone. Penso all’Unione sovietica (20 milioni di morti), alla Cina (65 milioni di morti) al Vietnam (un milione), alla Corea del Nord (2 milioni), alla Cambogia (2 milioni) all’Europa dell’Est (un milione), all’America Latina (150 000) e all’Africa (un milione e 700 000). 

Per anni, indubbiamente il PCI è stato la “sezione italiana del Partito Comunista Sovietico”. È vero, non ha mai avuto intenti folli e distruttivi come nel resto del mondo comunista, ma non si è mai distaccato da una storia controversa e estremista. Ciò non toglie che nella nostra Penisola ci siano stati comunisti di tutto rispetto, come Enrico Berlinguer, Giuseppe Di Vittorio e lo stesso Macaluso, deceduto qualche giorno fa. Personalità di cui non condivido ideali e visione politica, ma che rispetto totalmente nella diversità di opinioni. Inoltre, ho tanti amici dichiaratamente di sinistra e di provenienza comunista, che credono nei valori democratici e repubblicani. Ma la storia va analizzata prima di tutto nel complesso, e nel corso di tutta la sua storia il PCI non ha mai rinnegato le posizioni estremiste che lo collegavano alle dittature disperse in tutto il mondo. Credo, infine, che nella nostra Italia dobbiamo imparare, come suggerito dall’Unione Europea, a ricordare la storia, a studiarla, a analizzarla, in ogni caso, come avevo già ribadito nell’articolo su La Molisana. Ma ricordare la storia non significa necessariamente celebrarla. Perché l’estremismo va sempre condannato, e fin quando ci diremo antifascisti e non anticomunisti, o viceversa, non saremo mai uomini liberi e capaci di vivere nella democrazia e nella libertà.  È vero, il fascismo è stato definito “la follia del capitalismo”. Il comunismo, però, è stato la “tragedia del socialismo”. 

E allora, ben venga ricordare questa importante ricorrenza, ma è nostro dovere evitare di celebrare una pagina controversa e ormai superata della nostra storia e cultura.

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