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PERCHE’ UN VESCOVO E UN ABATE SUL PULPITO DI CANNETO? Lo spiega Franco Valente

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Il fascino del Molise è anche la sua apparente incomprensibilità. Piano piano, però, si può trovare il bandolo della matassa e tutto diventa semplice.

Quando stiamo davanti a un monumento bisogna farlo parlare, ma se non conosciamo il suo linguaggio non riusciremo a capire cosa voglia dire.

Per capire dobbiamo dare una logica a ogni cosa. Soprattutto alle cose apparentemente illogiche.

Nel pulpito di Canneto la cosa più illogica è la presenza di due personaggi che hanno sulla testa una mitra. Che è il copricapo che appartiene ai vescovi o agli abati. Gli altri quattro sono sicuramente dei monaci.

Dei monaci abbiamo già parlato e c’è poco da aggiungere. Molto, invece c’è da dire sui due personaggi più importanti rappresentati per la funzione che ricoprono.

Anche in questo caso per arrivare a una conclusione ragionevole dobbiamo fare una serie di ragionamenti e alla fine scopriremo anche il nome di uno dei due personaggi.

Sappiamo che il pulpito fu completato nel 1223. La data è scolpita sul suo prospetto.

Dobbiamo, però, spostarci di mezzo secolo e tornare al 1175 quando sulla scena di Canneto appare un altro abate Rainaldo che non appare negli annali di Montecassino.

La bolla di Alessandro III nell’anno 1175

L’11 marzo 1179, con un suo privilegio, papa Alessandro III, estendeva a S. Maria in Canneto la protezione della Santa Sede e ne confermava i possedimenti. Era abate un altro Rainaldo, che chiameremo di Canneto e non era cassinese.

E’ un documento di particolare importanza non solo perché per la prima volta non è menzionato né il monastero di S. Vincenzo al Volturno, né quello di Montecassino, dai quali precedentemente dipendeva, ma anche per il fatto che viene precisato che questo Rainaldo aveva una sua specifica giurisdizione su S. Maria di Canneto.

All’inizio del secolo scorso Paul Fridolin Kehr scopre nell’archivio capitolare di Napoli la copia di una bolla di papa Alessandro III e non sa spiegarsi per quale motivo quel documento si trovi in quel luogo: Unum quod superest privilegium Alexandri III Neapoli in Archivio capitulari, nescio quo casu huc translatum, servatur.

Egli ne pubblica solo il riassunto (P. F. KEHR, Italia Pontificia, Regesta Pontificum Romanorum).

Secondo mons. Vincenzo Ferrara, che ha dedicato a questa bolla una parte notevole delle sue attenzioni, Galluppi ha sottovalutato l’importanza del documento perché essa significherebbe l’inizio di una sostanziale modifica dello stato giuridico del complesso. Tutta la questione sollevata da mons. Ferrara è sicuramente importante per avanzare una serie di ipotesi sulle sorti di monasteri benedettini scomparsi nel territorio circostante. (V. FERRARA, L’epopea storica di Canneto)

Si deve partire da questo documento fondamentale per capire qualcosa della complessa storia di Canneto.

Alessandro III prendeva sotto la sua protezione apostolica il Monastero di S. Maria di Canneto e conferma l’applicazione della Regola di S. Benedetto. Confermava altresì ad esso tutti i suoi possedimenti che vengono così elencati: Casale di S. Flaviano, Casale di S. Croce, Casale di S. Giorgio, la chiesa di S. Flaviano sull’Asinarca, le Terre di Montenero con le chiese di S. Andrea e S. Silvestro, la Terra di Guglionesi con una casa ed alcuni casalini.

In analogia con altre abbazie, dunque, Alessandro III elevava Canneto alla condizione di abbazia nullius, concedendo a essa importanti privilegi ed esenzioni, compresa l’indipendenza giuridica da qualsiasi autorità ecclesiastica, ad eccezione della Santa Sede. Concedeva all’abate la facoltà di fare ordinazioni sacerdotali e controllare le sue chiese, di consacrare altari, fonti battesimali e l’olio santo. All’abate veniva così conferito anche il diritto a usare le insegne vescovili.

Questa particolare condizione giuridica obbligherà a una convivenza con il vescovo di Trivento che resterà titolare di un vasto territorio diocesano all’interno del quale l’abate di Canneto potrà esercitare autonomamente i privilegi espressamente individuati nella bolla di Alessandro III.

Questa particolare condizione giuridica che certamente ha continuato a sopravvivere nei decenni seguenti permette di dare una giustificazione concreta alla singolare presenza nel pulpito di Canneto di due ministri di culto aventi pari dignità vescovile: l’abate di Canneto e il vescovo di Trivento.

Del pulpito abbiamo parlato a sufficienza per descrivere nei minimi particolare i sei religiosi che compongono il fronte.

Rimane da capire per quale motivo due di essi abbiano in testa una mitra e il pastorale che nella iconografia cristiana sono l’attributo dei vescovi e degli abati.

Completato nel 1223, successivamente è stato smontato e rimontato almeno due volte e durante questi passaggi qualche pezzo si è perso.

Anche l’epigrafe con il nome del committente e dell’autore dell’opera sembrava sparita. Forse, però, non è andata completamente perduta perché, sebbene frantumata e posizionata in un luogo che non è quello originale, ancora è possibile leggerne due frammenti.

In uno si leggono poche parole, apparentemente incomprensibili, rimontate al disopra dell’archetto di sinistra.

+DOPN

HOCLA.

L’altro sembra ancora più indecifrabile perché rimangono solo le due lettere finali di un verbo, ….RI, accostate a una rosetta a rilievo.

Poche lettere che, però, consentono di arrivare a una conclusione se proviamo a ricostruire le parti mancanti.

Intanto la prima parola è un attributo consueto per vescovi e abati. DOPN è una cosiddetta abbreviatura di DOMINUS ABBAS. E’ un titolo che in documenti del XII-XIV secolo viene dato proprio a vescovi e abati.

La seconda linea sembrerebbe più complicata, ma, se dividiamo in due parti la parola, la soluzione diventa facile:

HOC LA…

Si tratta di un termine neutro (HOC). Basta scorrere in qualsiasi vocabolario latino le parole (sostantivi o aggettivi) che inizino con le lettere di LA…

L’unico termine che abbia attinenza con un’opera in pietra è LAPIDEUM, perciò è semplice completare il concetto.

Conseguentemente si deduce che le due lettere RI dell’altro frammento sono la parte terminale di FIERI:

DOMINUS ABBAS … FECIT FIERI HOC LAPIDEUM OPUS.

(Il Signore Abate …. fece fare quest’opera in pietra…).

DOMINUS, nel nostro caso, si riferisce all’abate che ordinò la realizzazione del pulpito che, come sappiamo, fu completato nella forma attuale nel 1223.

Il secondo dei religiosi rappresentati sul pulpito è un abate in abito da cerimonia con il volto sorridente. Ha il capo coperto da una mitra a punta con la fascia bordata in basso da perline e con due infule le cui frange si appoggiano sulle spalle. E’ vestito di un’ampia casula che copre una veste dal collo semplice.

La destra tiene un pastorale con ricciolo mentre la sinistra regge un libro chiuso appoggiato sul petto.

Il sesto personaggio invece è un vescovo.

Regge con la sinistra un pastorale a ricciolo mentre con l’indice della mano destra invita a guardare verso l’alto.

Molto semplice è la mitra a punta con le frange delle infule che si appoggiano sulle spalle.

Particolare, rispetto all’altra figura di abate, è la crocetta a rilievo applicata sulla spalla destra della casula. Una rappresentazione che potrebbe voler segnare un momento particolare della storia del monastero trignino. E’ un fatto inconsueto che una cerimonia liturgica sia presieduta da due ministri di pari grado.

Peraltro la circostanza che si tratti di due personaggi rappresentati con due volti assolutamente diversi l’uno dall’altro (uno con la barba e l’altro senza) porta alla conclusione che si tratti di un incontro tra un vescovo e un abate in un momento sicuramente importante.

Un particolare sembrerebbe voler dare a uno dei due una sorta di segnale distintivo: una croce applicata sulla spalletta di quello che ha la barba.

I documenti di archivio non ci consentono di conoscere quale fosse il nome dell’abate del Trigno che fece realizzare il pulpito.

Invece sappiamo come si chiamava il vescovo di Trivento nella cui giurisdizione comunque era compreso il monastero di S. Maria di Canneto.

Scorrendo la cronotassi della diocesi veniamo a sapere che nel 1223, anno di realizzazione del pulpito, era vescovo di Trivento un Tommaso di cui conosciamo molto poco e che mantenne la cattedra triventina da data anteriore al 1222 fino al 1237.

Scavando negli archivi qualcosa uscirà.

Per il momento possiamo immaginare che il suo volto sia quello del celebrante con barba che ha la crocetta sulla casula.

 

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