Dieci anni fa sono stato in Argentina. In quasi tutti i bar, ristoranti e sale da ballo c’erano le foto di Diego Armando Maradona, Ernesto “Che” Guevara ed Evita Peron. Capii subito il significato di quelle immagini: rappresentavano il riscatto di un grande Paese, colonizzato, vilipeso e costruito da umili lavoratori emigrati lì per lavorare.
Il riscatto nel mondo aveva il volto di un calciatore, geniale sul campo da gioco ed estroso nella vita. Il riscatto nel sub continente latino americano aveva il volto giovane di un rivoluzionario, che, da medico ricco, era passato dalla parte dei poveri. Il riscatto in quel Paese aveva il volto di una attrice nata povera e andata in moglie al Presidente, che perorava la causa dei poveri.
I poveri, gli sfruttati, i colonizzati, i diseredati non dimenticano chi fa loro del bene e chi si schiera dalla loro parte. Per questo in un mio altro viaggio, in Palestina, in molti locali trovai sulle mura dei locali pubblici le foto di Yasser Arafat. Per questo Massimo D’ Alema, da presidente del Consiglio dei ministri, non ha manco inviato la richiesta di estradizione alla Tunisia per Bettino Craxi. Sapeva che mai l’avrebbero concessa, perché gli arabi, aggrediti e vilipesi, non hanno mai dimenticato ciò che ha fatto il segretario socialista italiano per la loro causa e quindi l’ hanno ospitato e protetto fino alla fine dei suoi giorni.
C’è modo e modo di servire la causa dei poveri. Due coevi dell’ ottocento l ‘hanno fatto da prospettive totalmente diverse: Carlo Marx, teorizzando l’unione dei lavoratori contro il sistema economico –sociale capitalista e Don Giovanni Bosco, creando gli oratori, per dare asilo ai ragazzi a rischio nelle periferie.
Diego Armando Maradona ha servito, a modo suo, la causa dei poveri. L’ ha fatto sul rettangolo di gioco, l’ha fatto con le sue polemiche, l’ ha fatto legandosi a Fidel Castro e facendosi tatuare l’effige del “Che” sul braccio. E i poveri non dimenticano, non lo dimenticano, perché quel simbolo e quel mito dimostra che anche uno di loro ce la può fare.
Ce l’ ha fatta la povera Cuba a riscattarsi dallo sfruttamento coloniale e capitalista, anche se ancora soffre per l’embargo esterno e per il totalitarismo interno e ce l’ha fatta la Evita sposando il colonnello Peron.
Ce l’ ha fatta il nipote di un contadino povero del Piemonte emigrato in l’ Argentina, che sta dimostrando coi fatti che i privilegi generati da un sistema sociale ingiusto si annidano anche nella Chiesa Universale.
Nel 2013 “per dare un vescovo a Roma i fratelli cardinali hanno chiamato uno da Fin del mundo”, come ventinove anni prima era stato chiamato dalle periferie di Lunus un capo cannoniere per Napoli, già capitale di uno Stato sovrano, annessa e vilipesa nel 1860, che proprio per questo si è compiaciuta in lui, eleggendolo figlio prediletto.
Sono certo che se e quando tornerò in Argentina, sui muri dei locali pubblici, oltre alle foto di Diego Armando Maradona, Ernesto “Che” Guevara ed Evita Peron, troverò anche quella di Papa Francesco: sono foto che, forse anche noi occidentali, dovremmo appendere sulle nostre mura. Servirebbero a ricordarci che l’ Uomo da sempre crea sfruttati e sfruttatori e che l’ America latina ci può insegnare come fare a ridurre lo sfruttamento, se non proprio ad eliminarlo del tutto