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“Essere operatori di pace e misericordia”

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Il Vangelo di domenica scorsa ci diceva che, “amare i nostri nemici”, quelli che ci perseguitano e ci fanno soffrire, è difficile e non è neppure un “buon affare” perché ci impoverisce. “A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra”. Porgere l'altra guancia, che vuol dire: essere disarmati, non incutere paura. Gesù non propone la passività eccessiva del debole, ma una iniziativa decisa e coraggiosa: riprendere il dialogo, il rapporto con la persona che ci ha ferita, fare il primo passo, perdonando, ricominciando di nuovo da capo. Il cristianesimo non è una religione di “schiavi” che abbassano la testa e non reagiscono; ma è la religione delle persone totalmente libere, di essere padroni delle proprie scelte anche davanti al male. Gesù concludeva il discorso dicendo: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro».

Nel Vangelo di oggi Gesù dice: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”.

Quello che ci rende veri discepoli è di non essere giudici rigorosi e presuntuosi, ma operatori di pace e di misericordia. Se ci nutriamo della Parola di Dio e ci accostiamo a ricevere Gesù nel proprio cuore, saremo pronti a non guardare la trave che è nella pagliuzza degli occhi del nostro prossimo, a non giudicare sapendo che saremo giudicati da Dio così come giudichiamo gli altri.

Spesso tendiamo a sottolineare le mancanze degli altri, a vederne la grandezza, a limitare i difetti, a sorvolare su di essi e a lasciar perdere. Il Signore ci chiede di giudicare con correttezza, con misericordia, senza invidia, gelosia, senza rabbia, mettendoci nei panni degli altri.

“Guardare la trave che portiamo nel nostro occhio”, significa evitare di salire sulla sedia del giudice, per accomodarci, invece, dobbiamo metterci accanto al fratello che sbaglia. Quanto è difficile confrontarsi con una persona che ci giudica! Ci ricorda Papa Francesco nella Bolla d’indizione del Giubileo della Misericordia “Misericordiae Vultus”, 14: “Se non vogliamo incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto”. Quanto è liberante, invece, avere a che fare, con qualcuno che, capisce i nostri sbagli perché lui per primo li ha commessi! Impegniamoci, in questa settimana, a giudicare gli eventi, gli altri e noi stessi col metodo di Dio: con benevolenza, compassione, comprensione everità. Solo togliendo la maschera della nostra ipocrisia potremo incontrare le persone nel loro cuore, riusciremo a perdonare e a donare. Impegniamoci a essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce il suo bene su di noi.

Invochiamo lo Spirito Santo che riempia di desiderio il nostro cuore, che ci aiuti a comprendere la Parola di Dio, per trovarvi tutta la verità di cui abbiamo necessità per crescere e per conoscere la strada da percorrere.

Non siamo soli: il Signore sa bene quanta fatica facciamo a restargli fedeli e ad annunciare al mondo la sua presenza. 

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