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"Nutrirsi di Cristo per avere la vita eterna"

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Il Vangelo di questa Domenica conclude il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Il senso delle sue parole – come anche del miracolo della moltiplicazione dei pani – si è fatto sempre più chiaro. A voce alta Gesù dice: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".Tutti sono ad ascoltarlo, ma la maggior parte sono così intenti a pensare ai propri vantaggi da non comprendere la novità evangelica.

Nel libro dei Proverbi si scrive che la Sapienza ha imbandito un banchetto e invita tutti: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza".Il pranzo – manifestato con il pane e il vino – è il simbolo della comunione e dell'intimità che la Sapienza offre al popolo d'Israele. Ed era già chiaro che non si trattava solo del pane materiale.

Questo linguaggio di Gesù, nel Vangelo, è molto concreto, sino ad essere scandalosamente crudo. "La carne e il sangue" indicavano l'uomo intero, la persona, la sua vita, la sua storia. Se alla samaritana, incontrata al pozzo, Gesù aveva detto che avrebbe potuto darle "acqua viva", ora propone la sua stessa persona come "il pane della vita". Gesù offre se stesso ai suoi ascoltatori; potremmo dire che si offre in pasto a tutti. È sua vocazione divenire un uomo mangiato, consumato, spezzato, versato. Davvero Gesù non vuole conservare nulla per se stesso e offre tutt'intera la sua vita per gli uomini.

L'Eucarestia, questo mirabile dono che il Signore ha lasciato alla sua Chiesa, realizza la nostra misteriosa e reale comunione con Lui. S. Paolo con energia dice ai cristiani di Corinto: "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?".

Tutto ciò interroga il nostro modo di accostarci all'Eucarestia. Quante volte purtroppo si cede a quella stanca abitudine che peraltro priva coloro che si accostano all'Eucarestia di gustare la dolcezza di questo tenero e sublime mistero d'amore. Un mistero d'amore così alto che deve far pensare a ciascuno di essere sempre e comunque indegno di riceverlo. Infatti, la Santa Liturgia, anche dopo la più perfetta delle confessioni, ci fa ripetere le stesse parole del centurione: "O Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto…". O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato.Sì, non siamo mai degni di accostarci al Signore. È una verità che tanto spesso dimentichiamo. È il Signore che ci viene incontro; è Lui che si avvicina a noi sino a farsi cibo e bevanda. L'atteggiamento con cui dobbiamo avvicinarci all'Eucarestia deve essere quello del mendicante che stende la mano, del mendicante di amore, di guarigione, di conforto, di sostegno.

"Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me".Il Signore sembra non chiederci altro se non di rispondere al suo invito e gustare la dolcezza e la forza di questo pane che egli gratuitamente e abbondantemente continua a donarci. 

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