I Domenica di Avvento (Anno B) . -(Is 63,16b-17.19b; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37)
Fin dall’inizio l’umanità ha rivolto l’implorazione al Signore: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi! (Is 63,19). A questa importante domanda Dio ha risposto mandando il suo Figlio fatto uomo nel mondo. Il profeta Isaia apre l'Avvento come un maestro del desiderio e dell'attesa; Gesù riempie la nostra attesa di attenzione. “Attesa e attenzione”, sono i due nomi dell'Avvento, hanno la stessa radice: “tendere a”, “rivolgere mente e cuore verso qualcosa”, che manca e che si fa vicino e cresce. Sono le madri a conoscere bene in senso dell'attesa, che la imparano nei nove mesi che il loro ventre lievita di vita nuova. “Attendere” è l'infinito del verbo “amare”.
L’Avvento è un tempo di incamminati: tutto si fa più vicino e quindi si abbreviano le distanze…Dio si rende visibile a noi, noi agli altri, io a me stesso.
Nel Vangelo di oggi il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi, a ciascuno il suo compito (Mc 13,34). Questa è una costante di molte parabole, dove Gesù racconta il volto di un Dio che mette il mondo nelle nostre mani, che affida le sue creature all'intelligenza fedele e alla tenerezza combattiva dell'uomo.
Ma un doppio rischio preme su ognuno di noi. Il primo, dice Isaia, è quello del “cuore duro”: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?”. La durezza del cuore è la malattia che Gesù teme di più, che combatte nei farisei, che intende con tutto se stesso curare e guarire.
San Massimo il Confessore converte così: “Chi ha il cuore dolce sarà perdonato”.
Il secondo rischio è vivere una “vita addormentata”: “Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati”.
Il rischio di ogni giorno è vivere una vita passivi, dormiente, incapace di cogliere arrivi ed inizi, albe e sorgenti; di vedere la vita come una madre in attesa, piena di luce; una vita distratta e senza attenzione.
Bisogna vivere attenti. Ma a che cosa? Attenti ai bisogni della nostra società, alle persone, al nostro prossimo, alle parole che usiamo, ai silenzi, alle domande mute, senza senso, ad ogni offerta di tenerezza, di bellezza.
Attenti a ciò che accade nel nostro cuore e nella realtà in cui viviamo e ci muoviamo.
“Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64,7). Il profeta ci invita, quindi, a percepire il calore, la forza, la carezza delle mani di Dio che ogni giorno, in una creazione che va alla ricerca del “tutto e subito”, ci plasma e ci dà forma; che non ci butta mai via se il nostro vaso riesce male, ma ci rimette di nuovo sul tornio del vasaio. Con una fiducia che noi tante volte abbiamo tradito, con la nostra fragilità umana, con il peccato, che Lui ogni volta ha donato di nuovo per farci rialzare e continuare il nostro cammino.
Carissimi, “vegliare” è sentire il vuoto di un’assenza, e questo ci porta ad invocare la Sua presenza, a tenere lo sguardo fisso su Gesù, riscoprire il tempo presente come ricco di significato, luogo della speranza. Quindi, la nostra vigilanza, la nostra attesa, si alimenta nella preghiera. Amen!