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“Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”

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30.VII.2017 XVII DOMENICA FRA L’ANNO/A

Quale poteva essere la priorità per un giovane Re del mondo antico? Dal punto di vista umano si può ipotizzare che avesse nel cuore il desiderio di essere liberato dai nemici più minacciosi, o della ricchezza, mezzi utili all’accrescimento o alla custodia del proprio potere. La vicenda di Salomone mostra che bel altro era l’oggetto del desiderio del giovane Re, passato alla storia come simbolo vivente della saggezza in forza del paradigmatico “giudizio salomonico”.

Consapevole di essere “solo un ragazzo” (1Re 3,7), chiede “un cuore docile” (1Re 3,9), cioè disposto a essere istruito per ottenere la sapienza necessaria per rendere giustizia al popolo e per discernere ciò che è bene e ciò è male. L’umiltà di Salomone, che riconosce la propria verità a fronte dell’offerta divina, e la sua capacità di desiderare da Dio ciò che gli occorre per rispondere alla propria vocazione, sono piaciuti agli occhi del Signore, che gli concede un “cuore saggio e intelligente” (1Re 3,12).

Dio approva, dunque, la richiesta di Salomone, perché ha dato priorità a un desiderio che lo rende destinatario di un dono a vantaggio del popolo affidatogli da Dio stesso. Mettere al primo posto, nel piano dei desideri, ciò che contribuisce soprattutto non a realizzare la “propria” volontà, ma il disegno divino significa chiedere a Dio che “sia fatta la sua volontà”.

Dio acconsente volentieri ai desideri che esprimono in primis l’intenzione di realizzare liberamente la sua stessa volontà in noi, essenzialmente perché, fare la volontà di Dio significa perseguire il Sommo bene per sé e per gli altri o, nel caso di Salomone, per sé e per coloro affidatogli. Con brevi parabole Gesù ci invita a considerare il Regno dei cieli come una questione di priorità.

La caratteristica fondamentale del Regno, a differenza di quanto è narrato a proposito di Salomone, è che quest’ultimo accade e quasi s’impone come una priorità nella vita, e nell’uomo che trova il tesoro nascosto nel campo e nel mercante che trova una perla di grande valore. Il tesoro è capace di suscitare nell’uomo una grande gioia, tale da meritare un investimento completo.

Sia l’uomo, sia il mercante vende tutti gli averi pur di acquistare beni tanto preziosi. Incontrare il Regno dei cieli, senza poterlo dedurre o esigere, significa anche lasciarsi persuadere fino in fondo del suo primato nella nostra vita. Se il Regno accade là dove c’è Cristo, l’incontro con Cristo non dovrebbe comportare l’intuizione del primato che Gli spetta nella nostra vita? Dovrebbe essere proprio così, soprattutto se Egli ottiene il riconoscimento di quel primato sulla base della persuasione che la bellezza del suo amore misericordioso esercita su di noi. Come fu per Pietro: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).

La vita dei santi ci mostra in che modo essi abbiano vissuto la rivoluzionaria scoperta del tesoro del Vangelo. Sant’Antonio abbandona tutto, all’età di diciotto anni, per andare a vivere nel deserto; san Francesco d’Assisi prende alla lettera le parole che gli chiedono di non portare con sé, in cammino, né bisaccia né bastone; sant’Ignazio si converte alla lettura della vita dei santi nel suo ritiro forzato di Manresa; santa Teresa, alla fine della sua vita, dice: “Non mi pento di essermi donata all’amore”. 

Il tesoro nascosto nel terreno della nostra vita chiede non solo di essere scoperto, ma anche di essere anteposto a tutto quanto. Per scoprirlo occorre lo sguardo perseverante di un cercatore che non si fermi sulla via. Ma, una volta capito che proprio là si trova il lieto messaggio, capace di dare senso alla nostra esistenza e di portare la salvezza al mondo, esclamiamo con sant’Agostino: A lungo ti ho cercata, bellezza nascosta, tardi ti ho trovata; io ti cercavo fuori di me, e tu eri in me!”. 

Saremo in grado oggi di dire al Signore che è il nostro tesoro? Diciamoglielo con tutto lo slancio di cui è capace il nostro cuore, donandoci a Lui. Il “tesoro” non si nega a chi lo scopre, si lascia possedere. Si dà a chi è pronto a perdere tutto pur di impossessarsene. Il solo modo per ottenerlo veramente è di darci a Lui, dal momento che riconosciamo in Lui, il nostro Signore e il nostro Salvatore, Gesù Cristo.

Questa perla di grande valore, che ha dato la propria vita per riscattarci dal potere del male, vuole farsi conquistare da noi in cambio della fede e dell’abbandono al suo amore, qualunque sia la nostra richiesta o il nostro modo di vita. Rivolgendoci a lui dicendo “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28), noi possiamo possederlo e, insieme, farne dono agli altri. Questo tesoro, infatti, ha questa particolarità: per poterlo tenere, bisogna dividerlo con altri; esso si sottrae invece a chi vorrebbe privarne gli altri. L’“Amen” che oggi pronunceremo nel ricevere il Corpo di Cristo manifesti la nostra gratitudine e, insieme, il desiderio di farne dono ai fratelli.

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