Domenica scorsa abbiamo ascoltato la parabola del giudice e della vedova, sulla necessità di pregare senza stancarsi, con perseveranza. Oggi, con la parabola del fariseo e del pubblicano, Gesù vuole insegnarci qual è l’atteggiamento giusto per pregare e invocare la misericordia del Padre, e come si deve pregare.
Sia il fariseo che il pubblicano salgono al tempio per pregare, ma agiscono in modi diversi, ottenendo risultati opposti. Il fariseo prega “stando in piedi”, e usa molte parole. La sua è una preghiera di ringraziamento rivolta a Dio, ma, in verità, è un mostrare i propri meriti, con senso di superiorità verso “gli altri uomini”, che sono “ladri, ingiusti, adulteri”, come “questo pubblicano”. Ma proprio qui è il problema: quel fariseo prega Dio, ma in verità ha come uno specchio davanti a sé, esalta se stesso invece di pregare il Signore. Pur trovandosi nel tempio, non sente la necessità di prostrarsi dinanzi alla maestà di Dio; sta in piedi, si sente sicuro, quasi fosse lui il padrone del tempio! Egli elenca le buone opere compiute: si comporta bene, osserva la Legge, digiuna “due volte alla settimana” e paga le “decime” di tutto quello che possiede. Insomma, più che pregare, il fariseo si compiace della propria osservanza dei precetti, si ritiene giusto e trascura il comandamento più importante: l’amore per Dio e per il prossimo.
Non basta dunque domandarci quanto preghiamo, dobbiamo anche chiederci come preghiamo, o meglio ancora, com’è il nostro cuore: è importante guardare il nostro cuore per valutare i pensieri, i sentimenti, ed eliminare arroganza, ipocrisia, invidia, gelosia. Ma, domandiamoci: si può pregare con arroganza, ipocrisia, invidia, gelosia? No. Dobbiamo, soltanto, pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo, con le nostre fragilità, debolezze. Non come il fariseo che pregava con arroganza e ipocrisia…Ogni giorno siamo presi dalla frenesia del fare le cose, siamo agitati, confusi. È necessario imparare a ritrovare il cammino verso il nostro cuore, recuperare il valore dell’intimità e del silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla. Soltanto partendo da lì, dal cuore, possiamo incontrare gli altri e parlare con loro. Il fariseo si è incamminato verso il tempio, è sicuro di sé, ma non si accorge di aver smarrito la strada del suo cuore.
Il pubblicano, invece, si presenta nel tempio con animo umile e pentito: “fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto”. La sua preghiera è breve, di poche parole: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Niente di più. Una bellissima preghiera! Infatti, gli esattori delle tasse (“pubblicani”) erano considerati persone impure, sottomesse ai dominatori stranieri, erano disprezzati dalla gente e in genere associati ai “peccatori”. La parabola insegna che si è giusti o peccatori non per la propria appartenenza sociale, ma per il modo di rapportarsi con Dio e con il prossimo. “O Dio, abbi pietà di me peccatore”: poche e semplici parole che indicano la nostra umiltà, fragilità, debolezza, il riconoscersi bisognosi della misericordia di Dio. Se il fariseo non chiedeva nulla perché aveva già tutto, il pubblicano può solo mendicare la misericordia di Dio. E questo è veramente bello: mendicare, andare alla ricerca della misericordia di Dio, presentarsi “a mani vuote”, con il cuore nudo e riconoscersi peccatori. Alla fine proprio lui, così disprezzato, diventa un’icona del vero credente.
Gesù conclude la parabola con una sentenza: «Io vi dico: questi – cioè il pubblicano –, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (v. 14). Di questi due, chi è il corrotto? Il fariseo. Il fariseo è proprio l’icona del corrotto che fa finta di pregare, ma riesce soltanto ad esaltarsi davanti allo specchio. È un corrotto e fa finta di pregare. Così, nella vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza, è un corrotto e un ipocrita. La superbia, la gelosia, l’invidia, compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige l’umiltà non è per scoraggiarci: l’umiltà è la condizione necessaria per essere rialzati da Lui, così da sperimentare la misericordia che viene a colmare il nostro cuore vuoto. Davanti a un cuore umile, Dio apre totalmente il suo cuore. È questa umiltà che la Vergine Maria esprime nel cantico del Magnificat: «Ha guardato l’umiltà della sua serva…di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono». Ci aiuti lei, la nostra Madre, a pregare con cuore umile e sincero. E noi, ripetiamo dentro il nostro cuore, quella bellissima preghiera: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Amen.