Era un’erba cosiddetta campestre usata nella medicina popolare di un tempo quando il farmacista veniva chiamato lo speziale e non esistevano spezierìe fornite di medicine tanto elaborate dai laboratori di ricerca.
La tutumùojje, appartenente alla famiglia delle Euforbiacee, era ed è il nome locale di una pianta selvatica scientificamente chiamata Datura stramonium L. e volgarmente in tanti modi: erba diavola, erba delle streghe, erba maga, erba dei ladri, eccetera. Ed era conosciuta da tempo e un po’ dovunque: i Latini la chiamavano tithimallus, i Marchigiani tortomaja, i Napoletani tutumaglio (Andreoli), i Vastesi tutumajje (Spinelli), a Castelguidone tutemaie (Di Paolo). Si tratta di una delle tante piante silvane della flora che abbellisce e arricchisce i nostri ambienti rurali.
Quasi ogni erba aveva le sue qualità curative; ad esempio le proprietà dell’assenzio, del croco, agrifoglio, gigaro, luppolo, tarassaco, ginepro, iperico, calendula, ellebori, malvacee, urticacee e altre; erbe universalmente conosciute e usate da persone pratiche, in vari modi, per curare i vari tipi di affezione fisica di persone e animali. Della pianta si usavano radici come nel caso della cicoria usate come succedanee del caffè, bulbi, tuberi, turioni, fusti, foglie, fiori, bacche, essenze; anche i semi come quelli di lino usati negli impacchi e cataplasmi per curare le affezioni respiratorie. Anche i rizomi dell’umile gramigna erano usati erano usati come decotto nell’alimentazione dei diabetici e come diuretici.
In alcuni casi perfino nei disturbi mentali degli umani e, spessissimo per non dire quotidianamente, come alimento. Anche l’orzo tostato consumato come bevanda.
Alle volte con effetto blando e tardivo, altre con esito immediato e risolutivo.
Le erbe e piante selvatiche erano (e sono tuttora) usate anche per insaporire i cibi: l’origano, l’alloro, la mentuccia, il rosmarino, il finocchio vivo, il basilico, il prezzemolo, la salvia, la ruchetta, la santoreggia e quant’altre.
La ruta era ritenuta antiafrodisiaca tanto che ai tempi d Carlo Magno si coltivava in ogni monastero e i monaci la consumavano mista all’insalata. Si diceva che in tal modo i frati fossero agevolati per conservare la loro castità. Tale erba si coltivava anche nei giardini signorili come un apotropàico contro le forze del male. Si racconta che gli antichi medici la impiegassero come antisettico, antispasmodico, antiveleno, abortivo. Il vegetale in parola è presente anche nella nostra flora; nel territorio di Lentella esiste un’altura chiamata col fitonimo di ‘Colle della Ruta’.
Il centauro giallo che è molto amaro è usato come ingrediente dei liquori. Ha proprietà stomatiche, digestive, antifebbrile. Se strofinata sulla cute questa si gonfia. I ragazzi di un tempo, per gioco, la usavano sul braccio e su altre parti del corpo per osservare un arrossamento con enfiagione anormale, temporaneo, del muscolo.
il loglio ubriacante (Lolium temulentum) era usato come sedativo e calmante del dolore, ma intontiva le persone. A chi dava segni di squilibrio mentale si diceva: Ma si magnàtə lu panə di jùjiə? → Ma hai mangiato (per caso) il pane di loglio?
Per favorire un sonno tranquillo al bambino gli si propinava un preparato basato sul papavero da oppio (Papaver somniferum) che un tempo cresceva spontaneo in questi campi o coltivato negli orti, oggi non più.
Veniamo allo stramonio in dialetto tutumùojii: esso cresce un po’ dappertutto nei luoghi selvatici e incolti. É ritenuto velenoso in quanto può risultare nocivo alla salute perchè contiene diversi alcaloidi come l’atropina, ioscina, scopolamina ed altri; sostanze che andrebbero somministrate, se e quando, in dosi prestabilite sotto stretto controllo medico. Difatti è una droga e come tale può dare vertigini e disturbi visivi. Veniva somministrata in decotto, infuso o tintura quale rimedio per l’asma, le tossi nervose, la tosse canina, l’incontinenza urinaria notturna, le nevralgie, la difficoltà di respirazione.
Nei tempi andati le fattucchiere, i guaritori fai da te, gli erboristi ante litteram usavano le foglie e i semi dello stramonio. Poche gocce erano sufficienti. Oggi ne è proibito l’utilizzo. Anche perchè un uso improprio potrebbe provocare nel paziente sonnolenza e disturbi anche gravi. I nostri maggiori, quando si trovavano di fronte a una persona intontita un po’ usavano la locuzione: Si magnàte lu tutumùojjǝ? (hai [per caso] mangiato la tutumùojjǝ?).
Attualmente in commercio si trovano prodotti sintetici più sicuri ed efficaci.
Il grande ricercatore-scrittore recentemente scomparso Emiliano Giancristofaro ci informa che […] totemájjein alcuni Comuni dell’Aquilano, soprattutto Pescocostanzo, veniva indicata la rituale pentola di legumi con cui si festeggiava, il primo giorno del mese, l’arrivo di maggio…. Si lessavano assieme sette o nove tipi di legumi… che venivano mangiati e anche sparsi nei campi a scopo propiziatorio…proprio quando le riserve di beni alimentari cominciavano a scarseggiare e si aspettava il nuovo raccolto. Totemàjje indica, appunto, tutte le rimanenze delle provviste invernali di cereali e legumi che perciò venivano anche chiamate, a seconda dei paesi…virtù […].
A Fresagrandinaria quell’antica pietanza era appunto chiamata virté (virtù), una zuppa con rimanenze di ceci, fave, fagioli, cicerchie, grano, lenticchie, mais, verdure e non tutumuòjje che aveva tutt’altro significato come sopra riportato.
Testi consultati:
-AA.VV. – 2011. IPFI – Index Plantarum Florae Italiae, in:
Acta Plantarum – www.actaplantarum.org
-Giancristofaro Emiliano – Totemajje, viaggio nella cultura popolare abruzzese, Rai- sede regionale d’Abruzzo – Rocco Carabba editore, Lanciano, 1978;
-Viola Severino – Piante medicinali e velenose della flora italiana, Edizioni Artistiche Maestretti, Milano - Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1973.