Bene ha fatto Santino Di Rocco ad invitare Don Piero a San Salvo in una conviviale con i ragazzi di 50 anni fa, bene ha fatto Claudio Sapio ad occuparsi della sua organizzazione e bene hanno fatto tutti quelli che ci sono andati. Io, purtroppo, non ho potuto, ma ero lì col cuore. E' giusto ricordare quella storia, la nostra storia, la storia di questa Città e di uno dei suoi più grandi costruttori. Ed è bello ciò che Don Piero ha detto, ripreso da un video, di cui mi è stato inviato l'incipit che pubblico qui sotto.
Don Piero ha ricordato che i suoi commensali al tempo erano ragazzi e che il vescovo Capovilla non mandò, lui giovane prete, in una missione dell' America latina, perché l' America latina stava qua a San Salvo. Dio sa quanto quell' alto prelato, già segretario di San Giovanni XXIII, avesse ragione. San Salvo era appena uscita dal Medioevo: solo vent' anni prima i contadini avevano avuto un pezzo di terra del feudo abbaziale, ma perché le avevano occupate quelle terre...per non patire la fame. Solo dieci anni prima il Governo Moro -Nenni aveva creato la Siv "per togliere dalla miseria secolare le nostre genti" (cit. Antonio Marcovecchio). San Salvo da paese agropastorale si apprestava a diventare cittadina industriale, con giovani contadini che con la licenza elementare avrebbero dovuto diventare operai e capisquadra della più grande azienda vetraria europea e della Magneti Marelli (gruppo Fiat) dopo le lotte del ‘68 e l’ approvazione dello Statuto dei lavoratori.
La coesione sociale era pari allo zero. I ragazzi nati dal '55 al '68 parlavano venti dialetti diversi. I medici erano ancora don. I telefoni a casa ce li avevano in pochi. Nelle scuole c'erano ancora le classi differenziali. Se qualche ragazzo aveva un orientamento sessuale per il suo stesso genere veniva scacciato e disprezzato dalla sua stessa famiglia. I laureati si contavano in due palmi di mano. i bambini uscivano da soli, perché le macchine circolanti erano poche. Questa situazione trovò Don Piero quando arrivò.
Per prima cosa eliminò subito le barriere sociali: in quella stanza dietro la Chiesa, attigua al sottoscala in cui dormiva, ci potevano entrare sia i figli dei medici che degli operai, sia i figli dei commercianti benestanti che dei contadini che le pesche stavano affrancando dalla povertà di qualche decennio prima. Il prete non era più una delle Autorità del paese, ma un giovanotto capellone con qualche anno in più di noi, a cui potevamo dare del tu e salutare con un amichevole ciao. Il pezzo di terra dietro la Chiesa velocemente spianato era diventato il "campetto di Don Piero" dove giocavano i forti e le "scappine". Così nacque l' Aurora che non era solo vivaio calcistico, ma anche sociale: l' allenatore era Santino che non ti convocava se non eri andato a messa. Così noi ragazzi siamo diventati uomini.
Siamo i professionisti, gli imprenditori, i politici e i nonni di oggi. E lui è un vescovo emerito di Santa Romana Chiesa. S. Salvo è una Città , di cui S.E. Mons. Pietro Santoro è cittadino onorario. Mezzo secolo n on è passato invano. Siamo una Città che non può dimenticare chi l' ha plasmata con la fondazione della Parrocchia di San Nicola, dell' Aurora calcio e di altre mille iniziative. Sicuramente non l'hanno dimenticato quei ragazzi nati nell' America latina che, oggi, cinquant' anni dopo, sono ancora grati e deferenti al loro sacerdote.