Stamattina sono stato davanti lo stabilimento di Amazon ed ho intervistato una lavoratrice, una sindacalista e due politici.
Poi ho scritto questo editoriale. Sessant’anni fa a pochi metri da dove ho realizzato l’intervista veniva posata la prima pietra di un’altra grande azienda sansalvese: la Società Italiana Vetro. Essa nasceva come "risposta" dei Governo Moro-Nenni alle lotte popolari della vicina Cupello per l’utilizzo in questa zona del metano appena scoperto.
Mio padre era nato nel ’40 e, sedicenne, nel ’56 era andato in Germania, come tanti della sua generazione. Nel ’64 aveva potuto mettere su famiglia, qui nel vastese, perché aveva cominciato a lavorare alla Siv. Dove sarebbe rimasto ininterrottamente fino alla pensione. Con gli stipendi della Siv ha mantenuto dignitosamente noi, la sua famiglia. Come hanno fatto tanti suoi coetanei e come ci siamo detti proprio un anno fa, quando è venuto a dargli l’ultimo saluto il presidente della NSG (ex Siv). Con Graziano Marcovecchio, quel giorno, guardammo mia madre e ci dicemmo che avrebbe potuto tirare dignitosamente avanti con la pensione di reversibilità di mio padre, grazie proprio ai trentennali stipendi della Siv. Non so se fra sessant’anni il capo di Amazon andrà a dare l’ultimo saluto ad un “suo” operaio. Ma credo che il figlio quasi sessantenne di un operaio Amazon non potrà guardare l’anziana madre vedova con la stessa serenità con cui io ho guardato e guardo la mia: difficilmente la vedova di un operaio di Amazon avrà la pensione di reversibilità, visto che è pressoché impossibile per un operaio Amazon maturare la pensione diversamente da quanto è accaduto ed accade ad altri operai.
Se all’investimento governativo per l’insediamento Siv sono state necessarie le lotte (popolari) dei cupellesi, ai dignitosi stipendi di mio padre e della sua generazione ed ai contributi versati per le dignitose pensioni sono state necessarie le lotte (sindacali) degli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso. Non voglio stare a discutere se quegli stipendi e quelle pensioni siano stati finanziariamente sostenibili. Entrerei nel dibattito che ha fatto da sfondo a tutti gli interventi normativi giuslavoristici: dallo Statuto dei lavoratori alla Riforma Treu, dalla somministrazione del lavoro al Job act, dalla Riforma Fornero a quota 100. Però rilevo che il miglioramento della vita lavoratori è dipeso dalle lotte sociali e popolari: per la riforma agraria, per il pane e il lavoro, contro la discriminazione dei reparti ghetto, per la democrazia nelle fabbriche… Del resto il più importante dettato costituzionale “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” non avrebbe avuto attuazione senza le lotte operaie, che hanno spinto giurisprudenza e legislatore a creare leggi dignitose per i lavoratori italiani. Cessate le lotte si è tornati indietro ed oggi assistiamo a turni massacranti, a rotazioni con una media di durata dei contratti (a termine) di quattro mesi, a licenziamenti con sms, a ricatti continui, ad atteggiamenti (prima che comportamenti) antisindacali. In una parola assistiamo allo sfruttamento degli operai.
La fine delle lotte operaie dipende dalle dinamiche sociali della società liquida, dai ragazzi abituati ad avere tutto, dai Governi (di sinistra) accondiscendi con il capitale per la voglia di legittimarsi, dalla burocrazia sindacale ed anche dalla differenza culturale tra l’etica protestante (che vige nei Paesi anglosassoni) e l’etica cattolica romana. Quest’ultima considera il lavoratore un uomo e non un numero. Affianca il profitto alla pietà umana, che noi cristiani romani dobbiamo dimostrare nelle azioni quotidiane non essendo predestinati. Tutto ciò rende gli stessi “nostri” capitani d’industria più arrendevoli e disponibili alle relazioni sindacali. Si tratta di una cultura (che i padri costituenti marxisti, cristiani e liberali hanno insieme messo in Costituzione) oggi soccombente di fronte all’etica protestante dello spirito capitalistico d’oltreoceano che Max Weber ha ben descritto.
I nostri padri (nonni dei giovani operai SFRUTTATI OGGI) i loro stipendi e le loro pensioni dignitose se l’erano guadagnati con il coraggio e la lotta.