L’ipocrisia dell’ “Io mi vaccino poi” - Dal corrispondente di Roccavivara

Nicola Di Lisa
26/03/2021
Attualità
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Emergenza Covid e somministrazione dei vaccini. Scoppia la polemica tra il gruppo di opposizione “Insieme per Roccavivara” e il primo cittadino Angelo Minni. L’accusa riguarda la vaccinazione del sindaco, mediante la dose AstraZeneca, attaccato per non aver ceduto la dose di vaccino “agli over 80 o alle categorie più fragili, ai diversamente abili o gli insegnanti”.

Il Sindaco Minni, ha risposto per mezzo dei canali social, affermando, di essersi vaccinato in qualità di capo della Protezione Civile comunale rispettando le regole sancite dalla Regione Molise. Nel suo lungo post di difesa ha ribadito di non aver saltato alcuna fila e di aver atteso il suo turno “questa polemica mi rattrista, perché si configura come una calunnia e un atto profondamente denigratorio verso la mia persona dal punto di vista umano più che politico. Se posso comprendere che qualche giovane possa arbitrariamente calunniare la mia persona (siamo stati tutti giovani) non posso accettare che dietro questo osceno gioco delle parti ci siano degli individui che godano che una persona venga attaccata dal punto di vista della sua dignità umana”.

A seguito di questa vicenda, alcuni sindaci della regione Molise hanno precisato di aver rinunciato alla dose, mentre altri hanno affermato di aver fatto il vaccino come da regolamento.

Nei giorni scorsi, una questione simile ha coinvolto il giornalista Andrea Scanzi reo di essersi vaccinato in Toscana, guarda caso, rispettando le liste di attesa della regione Toscana.

A prescindere da queste casistiche, appare opportuna una riflessione a questo punto su questa campagna di indignazione.

Nell’epoca dei social media, l’indignazione onnipresente è diventata il tratto distintivo della politica. A testimonianza di questa tendenza vi sono i tweet o i post elettorali caratterizzati dal poco rispetto verso i dati sommergendo di rumore le proposte serie fino a renderle inudibili.

Ad esempio, è diventata una brutta idea vaccinarsi rispettando le regole e promuovere le persone a farlo in sicurezza.

Quest’onda di indignazione fa leva molto spesso sulla “questione morale” secondo cui il vaccino dovrebbe essere distribuito per fasce di età a prescindere dalla professione esercitata o dal proprio ruolo all’interno della società civile; di qui, l’opportunità di rifiutare la dose per cederla a chi ne ha più bisogno.

Ma è proprio qui che l’indignazione permanente scade nella contraddizione, per due semplici ragioni:

1) il rifiuto della propria dose del vaccino, non significa automaticamente cedere ai più fragili o bisognosi il proprio vaccino ma, semplicemente, che la somministrazione venga fatta al secondo in lista sulla base dei regolamenti di cui dispongono le regioni o, come in alcune regioni, in base alle liste d’attesa dei panchinari.

2) la campagna vaccinale, come ha illustrato il generale Figliuolo, avrà successo se entro settembre si raggiungerà circa l’80% di cittadini vaccinati.

Queste due condizioni stanno a significare che la regola da seguire è che si debbano vaccinare tutti; la differenza del “quando vaccinarsi” non ha alcun peso.

La maggior parte delle polemiche nascono, in effetti, dalla situazione nazionale che vede un numero limitato di dosi e l’attuale impossibilità di utilizzare la produzione industriale italiana ai fini di soddisfare la domanda interna.

Per questa ragione, la domanda che si pone è:

come distribuire le risorse dei vaccini sapendo che essi sono scarsi per soddisfare le richieste?

É evidente che per un soggetto il dovere morale di cedere la propria dose è più grande quando ci sono legami affettivi con la persona da aiutare. In ogni caso, sarà l’individuo a gestire sé stesso; nonostante ciò, nella nostra società ci sono dei criteri condivisi in base alle quali i cittadini regolano le azioni delle propria vita.

Da dove partiamo per individuare questi criteri?

Sicuramente dal fatto che una malattia non ha una genesi unica quale possa essere la fragilità o l’età. Potrei essere un soggetto fragile ma fare una vita rigorosamente sedentaria o essere ultranovantenne con alcuna voglia di continuare il mio percorso di vita in quanto pieno di disagi o, magari, potrei, all’opposto, essere un soggetto ultraottantenne con tanta voglia ancora di vivere e di prendermi cura della mia salute. Ancora, potrei essere un cittadino giovane o adulto costretto per lavoro a svolgere una vita frenetica, pubblica e piena contatti sociali. Per questo, in Italia, si sta adottando un approccio per la campagna di vaccinazione che è chiamato consequenziale; questo significa che ci siano liste d’attesa differenziate perché una malattia, come il virus in questione, non ha una sola genesi. Le liste d’attesa sono costruite sulla base della mescolanza di tre criteri:

1) bisogni

2) prospettive

3) utilità.

Il divieto di iscriversi a una lista d’attesa per potenziare uno solo dei criteri in questione, a discapito degli altri, istituirebbe una sorta di polizia morale.

In sintesi, disincentivare l’accesso al vaccino ad alcuni, per via della scarsità delle dosi, facendo leva sulla “solidarietà per i più fragili” è un gesto ipocrita e non la base per costruire un’etica. La stessa parola “donazione” risulta essere sbagliata perché non indica alcuna normatività nella fase di cessione del vaccino.

Affinché le decisioni della sanità pubblica diventino più sensibili delle differenze bisogna

- identificare le cure ritenute indispensabili per le persone concrete non per un’astratta umanità (es. over 80, soggetti fragili ecc.).

- apprezzare i modi diversi in cui le persone danno valore e senso alle loro vite.

Da una parte garantire un diritto minimo di cure a tutti dall’altra non dimenticarsi che il realizzarsi della felicità collettiva è il frutto di più fattori di egual valore e dignità.

Concludendo, tornando all’ ipocrita indignazione, direi che anche il Manifesto gramsciano Odio gli Indifferenti potrebbe configurarsi come un appello all’indignazione generale. Ma è complicato immaginare il pensatore sardo su Facebook al fianco di questi “eterni puri” che tentano di liberare le coscienze senza riconoscere responsabilità.

Se vogliamo uscire dalla crisi, oggi come nel 1917, bisogna lottare ogni giorno contro questo tipo di ipocrisia.

Vacciniamoci, quando arriverà il nostro turno, facciamolo tutti, senza vergogna quando sarà il momento.

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