L'antico rito tradizionale del Carnevale abruzzese attualmente è ancora praticato in pochissimi comuni dell'entroterra appenninico. In passato questo evento era caratterizzato da una grandissima partecipazione collettiva nelle varie comunità e si iniziava subito dopo il 17 gennaio, ricorrenza di Sant'Antonio abate. Festa di purificazione e di rovesciamento delle parti, il Carnevale rappresentava un tempo il ristabilimento dell'ordine stagionale dopo la pausa invernale. L'ultima domenica di Carnevale si celebravano dei veri e propri riti pagani, ricchissimi di contenuti simbolici, che dovevano servire in origine a propiziare la ripresa vegetale e la crescita delle messi nei campi.
In genere le "mascherate" prevedevano una serie di personaggi più o meno ricorrenti, quasi uno spaccato della società in un piccolo comune: il Pulcinella, la Vedova, il Dottore, il Notaio, i Carabinieri, lo Sposo e la Sposa, il Vecchio e la Vecchia, lo Speziale. A Vasto, nel corso dell'Ottocento, è attestata la "mascherata turchesca", in cui i personaggi impersonati erano dame e soldati saraceni, a ricordo di antiche incursioni di pirati. Un po' dappertutto erano ricorrenti le messinscene, i balli e il rito del funerale del Carnevale. Seguiva in genere il rogo del fantoccio, un gesto apotropaico di purificazione e di distruzione simbolica dei mali e delle preoccupazioni dell'intera comunità . Il rogo del fantoccio era praticato quasi ovunque nel Vastese, per esempio a Fraine o a Roccaspinalveti. A Gissi è stato reinserito nella sfilata più moderna.
Il rito tradizionale non prevedeva solo il sovvertimento e la purificazione finale: tanti infatti erano i simboli naturali che dovevano preannunciare l'arrivo della primavera. Oltre ai costumi fioriti, anche i dolci venivano riempiti di simboli propiziatori. Anche la cicerchiata, dolce principe del Carnevale abruzzese, con le sue palline di pasta fritta ricoperte di miele ricordava i grani e i semi, pronti a germogliare. In alcuni paesi veniva servita in forma circolare, quasi per rammentare il circolo naturale delle stagioni.
La maschera più rappresentativa del carnevale abruzzese è senza dubbio il Pulcinella, ancestrale nel suo abbigliamento simbolico. In genere vestiva una casacca di tela bianca con bottoni, un grande copricapo conico fiorito ornato di nastri, fischietti, campanelli, sonagli e molti simboli di potere come la mazza o la frusta, il cinturone, gli stivali. I Pulcinella coordinavano il corteo, decidevano le soste, in un certo senso presiedevano al riassetto simbolico dell'ordine naturale. In tanti paesi queste maschere facevano la questua casa per casa, ricevendo vino, salumi o dolci: in cambio restituivano canti e balli dal ritmo veloce. Probabilmente il Pulcinella napoletano della commedia dell'arte deriva proprio da questo personaggio del mondo popolare.
Nel Vastese e nella Valle del Trigno questa maschera è stata conservata soprattutto nell'entroterra montano, per esempio a Castiglione Messer Marino e a Schiavi di Abruzzo. In ogni paese ha le sue particolarità per quanto riguarda l'abbigliamento e gli accessori tradizionali.
A Castiglione Messer Marino, dove esiste un'associazione ad hoc, lu Pulgënèllë guida il corteo per le vie del paese, detto 'la Maschera'. Armato di scruià zzë, la frusta del mandriano, batte il suolo decidendo le soste e saltellando passi di zumbarèllë. Indossa una casacca bianca ornata di frange colorate, pon pon e campanacci, un cinturone, alti stivali neri e soprattutto un copricapo altissimo decorato da fiori, nastri colorati e tutta una serie di strutture tridimensionali di grande impatto visivo. Un tempo i Pulcinella castiglionesi si tingevano il volto di nerofumo, facendo così assumere alla maschera un aspetto ancora più arcaico ed ancestrale.
A Schiavi di Abruzzo questa maschera assume il nome di mazzarà unë, probabilmente dalla mazza (o sagliòcca) con cui guida la sfilata carnevalesca; il gruppo è capeggiato da Pulcinella. I Mazzaroni schiavesi sono caratterizzati dalle casacche ampie, in genere molto colorate, rosse o blu, e dal copricapo molto voluminoso detto cimiero, 'l cëmìrë, ricoperto di fiori di carta e nastri (zagarèllë).
Il Pulcinella di Roccaspinalveti (lu Pëlgenèllë), che si vede ormai sempre meno spesso nelle sfilate del paese, indossa una casacca bianca, un foulard al collo, nastri colorati in genere incrociati sul petto, sonagli e campanellini alla cintura e un copricapo conico ricoperto di fiori colorati e di lunghi nastri colorati detti zacarèllë. Porta in mano la frusta da mandriano infiocchettata, lu staffùënë. Una particolarità che contraddistingue il Pulcinella roccolano è l'assenza degli stivali e i calzettoni al ginocchio, tipici della moda settecentesca. A Fraine il Pulcinella poteva portare anche un bastone (la spatòrcë), parodia dello scettro del potere.
Un po' in tutto il territorio durante la mascherata del Carnevale venivano eseguiti canti e balli tradizionali accompagnati dall'organetto. Si trattava in genere di danze vivaci come spallate, zumparelle e saltarelle. A Castiglione Messer Marino è attestato l'uso del palo intrecciato, attorno cui si eseguiva una quadriglia; a Tufillo invece si eseguiva il Ballo della Marionetta, una forma di saltarella in forme legate, ad imitazione dei gesti meccanici del teatro delle marionette. In tutto il territorio esistevano forme di ballo specifiche per il Carnevale, le cosiddette zumparelle di Carnevale, che putroppo si sono conservate solo parzialmente nella tradizione.
(Per le fonti: G. Finamore, G. M. Gala, F. Stoppa, Ass. Pulcinella Castiglionesi, Ass. Schiavi della Musica. Si ringraziano per gli spunti Y. Moretti, A. Florio, T. D. Bruno. La foto dei due pulcinella da Serre di Roccaspinalveti per gentile concessione di Tarquinio Domenico Bruno).