LA CONTA DEI FUOCHI. Tra le carte e i conti della cancelleria del Regno di Napoli, hanno da sempre suscitato grande interesse le "tavole dei fuochi", nelle quali venivano elencati con grande cura tutte le città , i borghi e i villaggi del regno. Nella terminologia burocratica dell'epoca, fuoco era un nucleo famigliare, una famiglia che assicurava con le tasse una rendita media alla Regia Corte, come aveva stabilito una riforma voluta da re Alfonso d'Aragona a metà '400.
Tramite l'indicazione dei fuochi possiamo quindi farci un'idea delle dimensioni e del popolamento dei nostri paesi nel passato. Per avere un numero indicativo di abitanti, studi recenti hanno proposto di moltiplicare il numero dei fuochi per il coefficiente 5: dunque cinque residenti per ogni "fuoco fiscale".
LA POPOLAZIONE DEL VASTESE NEL 1669. Estremamente interessante è la tavola dei fuochi del 1669. Tale censimento, di cui abbiamo la serie completa dei dati, fu il primo eseguito dopo l'epidemia di peste del 1656, che colpì duramente anche il Vastese provocando una vera e propria crisi demografica ed economica.
Questi sono i dati di quelle che all'epoca erano chiamate "Università ", cioè le unità amministrative del nostro territorio: oggi diremmo i comuni. Sulla base del numero di fuochi viene data, per ogni città o borgo, la stima indicativa dei residenti effettivi. Le denominazioni sono quelle ufficiali dei registri dell'epoca. L'unica grande differenza, rispetto alla situazione attuale, è che Torrebruna e Guardiabruna erano considerate due Università distinte: l'unificazione amministrativa è avvenuta infatti solo nel 1812.
Università | Fuochi | Stima residenti |
Guasto di Ammone (Vasto) | 973 | 4.865 |
Castiglione di Messer Marino | 406 | 2.030 |
Santo Bono (San Buono) | 204 | 1.020 |
Palmoli | 163 | 815 |
Celenza | 144 | 720 |
Casal Bordino | 139 | 695 |
Rocca Spinalveti | 107 | 535 |
Scerni | 105 | 525 |
Tufillo | 105 | 525 |
Montazzoli | 102 | 510 |
Pollutri | 97 | 485 |
Carunchio | 93 | 465 |
Torrebruna | 93 | 465 |
Fraine | 88 | 440 |
Monte Odorisio | 76 | 380 |
Gesso di Monte Odorisio (Gissi) | 75 | 375 |
Schiavi | 75 | 375 |
Fresa Grandinaria | 64 | 320 |
Casalanguida | 61 | 305 |
San Giovanni Luppioni (Lipioni) | 61 | 305 |
Villa Cupello | 58 | 290 |
Carpineto | 40 | 200 |
Guilmi | 36 | 180 |
Villa San Salvo | 36 | 180 |
Castel Guidone | 33 | 165 |
Furci | 33 | 165 |
Lisia (Liscia) | 33 | 165 |
Villa Alfonsina | 32 | 160 |
Lentella | 30 | 150 |
Guardiabruna | 19 | 95 |
Dogliola | 15 | 75 |
TOTALE VASTESE | 3.701 | 18.505 |
La prima cosa che salta all'occhio è l'esiguità di popolamento del nostro territorio. Vasto non raggiungeva cinquemila abitanti, mentre sulle restanti 31 Università , solo una superava verosimilmente quota duemila, cioè Castiglione Messer Marino, solo una stava nella fascia mille-duemila abitanti: San Buono.
Non dobbiamo tuttavia stupirci di questi numeri: prima del XIX secolo le nostre regioni erano di gran lunga meno popolate di adesso. Per fare un confronto, nel 1669 la città più grande tra Abruzzo e Molise era Chieti con i suoi 1.745 fuochi, corrispondenti a circa 8.725 residenti. La popolazione dell'intero Vastese in quell'anno ammontava a circa 18.000 persone. Oggi sfioriamo i centomila.
Per quanto riguarda i nomi dei paesi, è curiosa la forma ufficiale per l'odierna Gissi: Gesso di Monte Odorisio, usata probabilmente per distinguere il borgo da quello di Gessopalena. Tale curiosità è conservata anche nello stemma comunale, che riporta le lettere G.M.R. (Gesso di Monte di Risio). Guasto d'Ammone o d'Aimone, oggi Vasto, riportava ancora la vecchia specificazione legata al gastaldo Aimone di Dordona, signore del luogo durante l'età carolingia.
Tornando ad un'altezza cronologica più vicina a noi, nel XVII secolo tre paesi portavano il nome di "villa", denominazione che ne tradiva l'origine di colonie agricole e non di castelli o capisaldi militari. (Villa) Cupello e (Villa) Alfonsina sono state infatti due rifondazioni cinquecentesche per accogliere profughi serbo-croati, (Villa) San Salvo invece si era sviluppata grazie alle famiglie di contadini che lavoravano le terre dell'abbazia cistercense dei Santi Vito e Salvo, l'attuale chiesa parrocchiale di San Giuseppe.
IL VASTESE SECONDO L'ABATE PACICHELLI. Tra gli studi di geografia, etnografia e storia che vedevano le stampe nella seconda metà del Seicento, spicca l'opera di Giovani Battista Pacichelli, abate e teologo romano che viaggiò a lungo per il Regno di Napoli negli anni '80 del secolo. Prima di morire, consegnò agli editori Muzio e Parrino di Napoli i volumi del "Regno di Napoli in prospettiva", poi usciti postumi.
Pacichelli dedica una lunga sezione all'Abruzzo e al Molise, all'interno dell'opera, soffermandosi soprattutto sulle questioni storiche ed archeologiche (come le vestigia della antica Histonium), che tanto interessavano gli eruditi del tempo. Non mancano tuttavia diverse note descrittive che ci offrono una vera e propria fotografia dell'epoca.
VASTO D'AMMONE. "Illustra le memorie de' Frentani, e l'inferior parte dell'Abruzzo, la nobile Terra del Vasto d'Ammone". Così inizia la descrizione di Vasto, che "in ameno promontorio signoreggia, ad un terzo di miglio, l'Adriatico, ed in esso (...) l'Isole celebri di Diomede (n.d.c. le Isole Tremiti o Diomedee)". La cittadina è descritta nella sua struttura urbanistica con molta dovizia di dettagli: "La sua moderna forma è ovoidale, in ambito di circa un miglio, non in tutto piana, ma con dolci declivi, e larghe strade di mattoni".
Anche all'epoca, come forse ancora oggi, l'edificio più elegante del centro storico era Palazzo D'Avalos: "le case (...) tutte si oscuran dalla maestà del Palazzo del Marchese (...) con ampia sala e cortile, ed ogni comodità degna di Prencipe". Vasto aveva all'epoca quattro porte di ingresso e spiccava fra le abitazioni il Castello, descritto con tutta la sua forza di fuoco: "ha sostenuto fieri assedj con 60 cannoni". Tra le famiglie importanti che vivevano a Vasto, Pacichelli ricorda anche alcuni nobili feudatari dei paesi dell'entroterra: "i Bassani Baroni di Tufilli, i Mutii Baroni di Digliola".
Dal punto di vista economico, l'abate fa notare la buona pescosità del mare e la fertilità delle campagne, con i propri prodotti commercializzati sulle coste di tutto l'Adriatico: Vasto è descritta come "un largo giardino, colmo di frutti e di caccia, e vino, (...) provvedendo anche con l'olio di qualità perfetta in abondanza lo Stato Venetiano".
CASTIGLIONE DI MESSER MARINO. Pacichelli descrive brevemente anche Castiglione Messer Marino, che, come abbiamo visto, in quegli anni risultava il borgo più grande dell'entroterra: "amena Terricciuola (...) gli abitanti della quale applican per lo più all'agricoltura".
L'abate coglie l'occasione per citare i principi Caracciolo di San Buono, residenti a Napoli: Castiglione era "divertimento nella state del Principe di Santo Buono". L'allusione va senza dubbio all'appartamento privato che i principi si erano riservati all'interno del Convento dei Frati Minori di Santa Maria del Monte, oggi scomparso, sulla Montagna della Lupara.
Non è un caso che l'abate, fra i feudatari della zona, dedichi spazio proprio ai principi Caracciolo e ai marchesi D'Avalos. Le due famiglie infatti avevano nel Vastese i capisaldi dei loro feudi: i Marchesi D'Avalos ereditavano infatti, oltre a Vasto, buona parte del Medio Vastese con l'antica Contea di Monteodorisio (con Cupello, Gissi, Furci, Liscia, Guilmi), mentre i Caracciolo controllavano l'Alto Vastese fin dal Quattrocento (Castiglione, Schiavi, Fraine, Roccaspinalveti, San Buono, ma anche la vicina Agnone, Castel di Sangro e Bucchianico).
POLLUTRO. Vera curiosità nell'opera di Pacichelli è una mappa di "Pollutro" o "Pollutri", dedicata nel cartiglio a don Francesco Sabelli, "patrizio" del paese. Questa mappa, molto dettagliata, ci mostra innanzitutto il borgo antico del paese, cinto da mura, corrispondente agli isolati circostanti la chiesa di San Salvatore. L'ambiente, oltre ai campi in primo piano, sembra essere molto più boscoso di quanto lo sia oggi.
Poco fuori paese si vede la chiesa di San Rocco, costruita proprio dopo la peste del 1656, come voto al santo protettore delle epidemie. Questa chiesa, come quella della Madonna del Piano, sul lato opposto, all'epoca era esterna al paese. Nel corso del Settecento e dell'Ottocento però i due edifici religiosi sono stati inglobati, con l'espansione urbanistica, all'interno dell'abitato: oggi infatti fanno parte integrante del centro storico.
Bibliografia storica: T. Almagiore, Raccolta di varie notitie historiche, Napoli, 1675; G. B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, diviso in dodeci provincie. Parte III, Napoli, 1703 (uscito postumo).